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Nella PA la trasparenza vale sempre più della velocità burocratica

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Nell’Italia che fatica spesso a fare sintesi tra diritti sociali e legalità economica, due provvedimenti – apparentemente lontani – raccontano più di quanto sembri sulla direzione che il nostro Paese sta cercando di imprimere alle sue politiche sociali. Da un lato, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2025; dall’altro, l’automatismo introdotto dall’Inps per l’esclusione di titoli di Stato dal calcolo dell’Isee precompilato. Due vicende molto diverse per contesto e natura, ma che pongono entrambe interrogativi su quale idea di welfare stiamo costruendo, in termini di trasparenza e di tutela dei principi fondamentali.

La Corte costituzionale ha bocciato una norma della Provincia autonoma di Bolzano che si proponeva di semplificare la burocrazia per le imprese: nella gara pubblica, solo il primo classificato avrebbe dovuto dettagliare i costi della manodopera e gli oneri per la sicurezza. Una scelta che, sulla carta, avrebbe snellito la procedura per chi – poi – non avrebbe ottenuto il contratto. Ma la Consulta ha riaffermato un principio essenziale: in materia di contratti pubblici, la trasparenza deve venire prima della velocità e la tutela dei diritti dei lavoratori non è negoziabile.

Dietro quella che poteva sembrare una piccola deroga provinciale si nascondeva infatti un rischio sistemico: indebolire la capacità della pubblica amministrazione di vigilare ex ante sulla sostenibilità e serietà delle offerte, vanificando gli sforzi del nuovo Codice dei contratti pubblici – fortemente voluto anche in chiave europea – per contrastare il “dumping” sociale e garantire condizioni dignitose ai lavoratori. Sul versante opposto – questa volta sul terreno della fiscalità e dell’accesso ai benefici sociali – arriva una novità che invece sembra guardare nella direzione giusta: l’automatismo Inps che, dal 16 giugno 2025, esclude fino a 50 mila euro di titoli di Stato dal patrimonio mobiliare ai fini Isee.

Qui il nodo era un altro: rendere davvero “accessibili” i meccanismi di welfare, abbattendo quella barriera di complessità che scoraggiava troppe famiglie. Fino a ieri, per beneficiare dell’agevolazione prevista dalla Legge di Bilancio, occorreva correggere manualmente i dati nel sistema, un compito non sempre semplice per chi non ha competenze tecniche.

Ora, invece, come chiarito dall’Inps con il messaggio n. 1895 del 16 giugno 2025, l’algoritmo che elabora la Dichiarazione Sostitutiva Unica precompilata “neutralizza” direttamente alcune categorie di strumenti finanziari, recependo così quanto previsto dalla Manovra. L’esclusione automatica può comportare una riduzione significativa dell’indicatore ISEE, rendendo più facile l’accesso a prestazioni sociali agevolate come il bonus asilo nido, la carta “Dedicata a te” o l’esonero dalle tasse universitarie. Una scelta che premia le famiglie che risparmiano in strumenti garantiti e di lungo termine e che semplifica la vita dei cittadini.

Un esempio di come la tecnologia possa – quando ben usata – rafforzare le politiche sociali, che, oggi più che mai, oscillano tra esigenze, non sempre facili da conciliare, di sostenibilità economica e bisogni crescenti di protezione sociale in cui il confine tra semplificare e svuotare di senso, tra innovare ed escludere, resta sottile. Rimane però il rischio di costruire un sistema a doppia velocità: da un lato, ambiti in cui si innalzano le garanzie normative – come nel caso dei contratti pubblici – a tutela dei principi fondamentali; dall’altro, una spinta crescente verso l’automazione e la gestione algoritmica dei diritti sociali, che può semplificare, ma anche allontanare i cittadini meno attrezzati dal pieno controllo sulle proprie tutele.

Certo, se ben orientati, questi strumenti possono davvero contribuire a un welfare più giusto: meno burocratico, più trasparente, rispettoso della dignità dei lavoratori e realmente accessibile ai cittadini.

La vera sfida per il legislatore e per le istituzioni sarà dunque quella di evitare tanto l’iper-normazione che irrigidisce, quanto l’iper-semplificazione che deresponsabilizza. Perché un welfare moderno non può limitarsi a essere “più veloce” o “più smart”: deve restare comprensibile, equo e vicino ai cittadini. E su questa strada, la politica sociale italiana è ancora tutta da scrivere.

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