Negli ultimi trent’anni la pratica sportiva in Italia ha fatto registrare progressi significativi: secondo i dati contenuti nell’ultimo report stilato dall’Istat e pubblicato il 30 giugno scorso, quasi 22 milioni di italiani (il 37,5% della popolazione dai tre anni in su) praticano regolarmente almeno uno sport, contro il 26,6% registrato nell’ormai lontano 1995. A trainare l’aumento è soprattutto la pratica continuativa che è passata dal 17,8% al 28,7%.
Tuttavia, dietro questi numeri incoraggianti si celano diseguaglianze territoriali che penalizzano fortemente il Mezzogiorno. Se nel Nord-Est il 43,9% della popolazione fa sport e nel Centro la quota raggiunge il 41,5, nel Sud si ferma a un modesto 27,9. Anche nelle isole i dati non appaiono più confortanti: si conferma, in questo modo, un divario strutturale e culturale tra Centro-Nord e Sud nella diffusione della cultura del benessere attraverso l’attività fisica.
Quali sono le possibili cause di questa evidente disuguaglianza? Carente presenza di impianti sportivi, minore accessibilità economica, discontinuità nei programmi scolastici e sportivi territoriali, ma anche una più bassa percezione del valore dello sport nella vita quotidiana. Preoccupante è anche il fatto che quasi la metà della popolazione del Sud dichiari di non aver mai fatto sport, a fronte di un terzo nel Centro-Nord.
Nel Mezzogiorno, infatti, la pratica “autonoma” all’aperto (come jogging o ciclismo) è molto meno diffusa (29,1%) rispetto al Nord (oltre il 41%), segno di una limitata fruibilità degli spazi pubblici e di condizioni urbane meno favorevoli all’attività fisica libera. Inoltre, più di un giovane su cinque (21,6%) finisce con l’interrompere la pratica sportiva in adolescenza, con picchi soprattutto tra le ragazze e in quei territori nei quali l’offerta sportiva è nettamente più debole.
Anche la sedentarietà costituisce un problema rilevante: oltre il 32% degli italiani non fa né sport né attività fisica, con incidenze maggiori nelle regioni meridionali e tra le donne. Le motivazioni più citate sono la mancanza di sufficiente tempo libero, l’età, i problemi di salute, ma anche le difficoltà economiche o logistiche con le quali bisogna fare i conti. Nonostante il boom di palestre e attività indoor, favorito anche dalle nuove tecnologie (quasi un praticante su cinque usa applicazioni oppure video online), permane una forte disuguaglianza di genere e territorio nell’accesso alla pratica sportiva. Le donne, per esempio, praticano meno sport rispetto agli uomini (31,8% contro 43,4) mentre risultano nettamente più presenti nella pratica casalinga o in quella con istruttore remoto.
Lo sport in Italia cresce, ma non ovunque e non per tutti. Colmare il gap Nord-Sud nella pratica sportiva non è soltanto una questione di salute pubblica, ma rappresenta una sfida culturale, educativa e infrastrutturale. Investire in impianti, percorsi urbani sicuri, scuole aperte al pomeriggio e incentivi per le famiglie svantaggiate potrebbe ridurre le attuali diseguaglianze e promuovere finalmente un’idea di benessere accessibile e duraturo anche nel parte meridionale del Paese.
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