Modello 5.0 per salvare l’industria

C’è un aspetto dello scenario attuale che molti trascurano. Negli ultimi tempi l’attività industriale è sensibilmente peggiorata a livello internazionale e anche in Italia il settore manifatturiero, da sempre “locomotiva” dell’economia nazionale, mostra preoccupanti segni di cedimento. Basti pensare che i due terzi dei settori produttivi accusano una contrazione più o meno forte che rende indispensabile e improcrastinabile un nuovo piano basato su innovazione, tradizione digitale e sburocratizzazione.Partiamo, come sempre, dai numeri. La produzione industriale mondiale ha smesso di crescere dall’inizio del 2022, mentre nell’Eurozona la contrazione è scattata a partire dallo scorso autunno. Due fattori hanno contribuito a questo scenario: con le riaperture post-pandemia, i consumatori hanno orientato le proprie scelte di acquisto verso quei servizi che erano stati penalizzati dai vari lockdown; alcuni beni, come per esempio le costruzioni, sono più sensibili al rialzo dei tassi d’interesse attraverso il quale la Banca centrale europea intende arginare l’inflazione.

Il risultato è che, in Italia, ad aprile il manifatturiero ha registrato una flessione del 2,1% rispetto al mese precedente e un del 5,2 in termini tendenziali. A maggio e giugno, poi, il clima di fiducia è nettamente peggiorato e le imprese hanno ridimensionato le proprie aspettative in vista del prosieguo dell’anno. Tra i tanti settori in difficoltà, più in affanno sono quelli che avevano beneficiato di un eccesso di acquisti durante la pandemia per effetto del cambiamento degli stili di vita: è il caso dei prodotti per l’arredo (in calo dell’8% nel trimestre febbraio-aprile 2023), degli elettrodomestici (-3,9%) e della dotazione informatica per le esigenze legate allo smart working o alla didattica a distanza (-1,2%). Ancora indietro la pelletteria (-9,9%), che ha accusato la perdita del mercato russo, e i settori a maggiore intensità energetica come la carta (-12,4%), la metallurgia (-9,8%) e i minerali (-10,5%). Si tratta di segnali preoccupanti anche per la Puglia che tra i suoi principali distretti industriali annovera quello dell’arredo e della meccanica, rispettivamente con Santeramo e Bari come “capitali”.

Davanti a un simile scenario la politica non può rimanere inerte, ma deve accelerare la transizione verso quel modello 5.0 già indicato come obiettivo dall’Unione europea. Ciò vuol dire innanzitutto rafforzare l’uso di tecnologie da parte delle imprese italiane in generale e meridionali in particolare, se è vero come è vero che le aziende di casa nostra sono ancora molto indietro per quanto riguarda l’utilizzo di tecnologie specifiche come big data e intelligenza artificiale. Ma il modello 5.0, sperimentato con successo in Giappone, impone anche un alto grado di connessione tra gli attori industriali e sociali, cioè la possibilità per questi ultimi di raccogliere dati relativi a ordini e consegne o di condividere le rispettive esperienze per migliorare la qualità dei prodotti o di aiutarsi nella ricerca e nello sviluppo. Il tutto presuppone che l’Italia sappia coordinare le politiche, snellire la burocrazia e gestire in modo ottimale le risorse a disposizione che, grazie al Pnrr, non sono scarse. Ci riuscirà? È da vedere. La speranza è che il Paese restio all’innovazione, in cui le competenze dei diversi enti si sovrappongono e gli sprechi di denaro non si contano, colga la recessione incipiente come un’opportunità per proiettarsi nel futuro.

Raffaele Tovino è dg Anap

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