«Ma io sono costante come la Stella Polare, che per la sua fissità e immobilità non ha eguali nel firmamento», é la frase che Shakespeare attribuisce a Giulio Cesare che vorrei citare alla ministra Anna Maria Bernini prima di farle una proposta. Eccola: abolisca nell’università i concorsi pubblici.
Abolisca le classifiche nazionali per concorso di professore ordinario, associato, o meglio, lasci che ciascuna università con i propri fondi -concordati col Governo – o con fondi speciali ottenuti specificatamente per quella cattedra, decida liberamente chi assumere, con quale ruolo, e per quanto tempo e renda semplicemente obbligatorio il ruolo stabile dopo la prima riconferma.
Persona del cui giudizio ho ragione di fidarmi mi assicura che il suo grado di qualifica giuridico scientifico è elevato. È questo mi rincuora. Questa proposta di riforma spaventerà il mondo medioevale accademico, fatto di baronie e feudi, e spaventerebbe qualsiasi personaggio della opposizione che ricoprisse il suo ruolo.
Viviamo un momento politico finanziario noioso. Dibatti sulla falsariga de «Io ti levo due soldi a te, tu non mi levi due soldi a me» dettato dagli up and down dei sondaggi politici che dimostrano la mancanza di quella che dovrebbe essere una visone generale della direzione del nostro Bel Paese. Illustre ministra, le classifiche mondiali delle università italiane vedono il Politecnico di Milano al 110 posto; la università Sapienza al 130esimo posto, la università di Bologna al 140esimo posto. Se non ci fosse il formidabile primo posto al mondo per gli studi classici della Sapienza a consolarla, sono dati terrificanti. Come è possibile non considerare questi dati come emergenza dettata dal sistema di selezione e nomina? Il sistema concorsi è una concessione del potere assoluto ai cosiddetti «baroni», alle dinastie universitarie, allo scambio di favori nella scelta delle commissioni, ai bandi «cuciti su misura», al criterio della «fila» per decidere non su chi è più bravo ma «a chi tocca». Un bubbone pestifero che uccide sul nascere ricerca e creatività. Quelle classifiche sono impietose.
Se non sbaglio nei suoi dati scientifici comparatistici c’è un pregevole testo sul sistema costituzionale USA, usi questa sua capacità per ispirarsi alle università americane che scelgono chi vogliono, dandogli il titolo che preferiscono, per la durata che decidono, con impegno – giusto – a stabilità solo in caso di conferma.
Resista ai questuanti. L’uomo che si rifiutò di essere Re, oltre a distribuire i suoi soldi alla popolazione, lascio gli Hortis Cesarei i famosi giardini che si trovavano a destra del Tevere sulla pendici del Gianicolo come parco pubblico, un luogo di svago e passeggio per i cittadini popolani romani. È come se Berlusconi nel suo testamento avesse lasciato Villa Certosa al libero uso dei visitatori sardi di Porto Rotondo o Villa Grande alla libera frequentazione dei romani che volessero gironzolare nell’area storica relativa. Riporti anche lei nei giardini della scienza gli studiosi italiani.
Signora ministra, con l’unica geniale eccezione di Giorgio Parisi, la maggior parte dei Nobel italiani lavorano o lavoravano all’estero. Please, lei che può, cancelli con un tratto di penna il sistema dei concorsi universitari, l’autentico «bubbone guasto della ricerca italiana» e si tornerà a respirare aria fresca e pulita nel Bel Paese dell’abate Stoppani.
Umberto Sulpasso è Senior fellow digital Center for future- Annemberg school, University of Southern California











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