A volte bisogna prendere il coraggio a quattro mani e riconoscere che moltissimi dei problemi dell’attuale universo femminile sono una responsabilità delle donne, insuperabili nell’essere nemiche delle altre donne e di se stesse. E se il dramma della violenza di genere è davvero un problema culturale, io i limiti maggiori li colgo proprio nelle donne. Sì, perché al di là di tutti i discorsoni sull’emancipazione, tantissime donne vivono ancora come fossero un’appendice dell’uomo, probabilmente senza nemmeno rendersene conto. E lo fanno professando modernità e autonomia, ma senza un conto bancario personale, e considerando ancora l’altare un obiettivo di vita, il più importante, un attestato di realizzazione personale, un’affermazione potente dell’esistere in quanto donna.
La stessa cosa vale per la maternità, che in innumerevoli casi è ben lontana dalla tanto pubblicizzata poetica del desiderio, ma che troppo spesso è legata all’idea che una donna sia completa solo in quanto mamma. Le non-mamme sono considerate monche, o sfortunate, o inconcludenti. Come se null’altro di buono si potesse fare nella vita, e soprattutto come se l’essere madre di una donna significasse solo partorire dei figli. Nessun’altra possibilità di creazione ha lo stesso valore. E allora quando si parla di voler generare una nuova cultura di genere, non bisogna lavorare solo sugli uomini additandoli come i soli responsabili del patriarcato, ma bisogna lavorare anche sulla non-cultura e sulle non-consapevolezze femminili. E sulle gabbie stereotipate che ci costruiamo da sole.
Per questo in una giornata così simbolica in cui non c’è davvero nulla da festeggiare, consiglio meno messe in piega e più messe in discussione.
* autrice e attrice