Assolvo l’impegno a parlare del rapporto tra Silvio Berlusconi e il Sud, dopo avere seguito in televisione i suoi funerali di Stato a Milano.
Sul merito della sua azione di governo per il Mezzogiorno e anche sull’eccesso di facilità nel promettere, sapendo già di non potere mantenere (il che lo avvicinava – non ci si scandalizzi – ai pentastellati), auspico di argomentare in un futuro intervento un giudizio in chiaroscuro.
Può invece avere qualche motivo di interesse parlare adesso d’immagine simbolica.
Penso che altri abbiano avuto le mie stesse impressioni, guardando la folla plaudente al passaggio dell’auto che recava, scortata da poliziotti motociclisti, il feretro del Cavaliere trasportato da Arcore e all’arrivo quella assiepata dietro le transenne, in piazza del Duomo, con attorno bandiere del Milan e del Monza agitate al vento e ritratti di Berlusconi con frasi di gratitudine.
Dentro la chiesa ha ricevuto onori quasi regali e c’erano anche capi di Stato esteri, assieme alle nostre autorità locali, regionali e centrali, di ieri e di oggi, salvo ovviamente l’amico Putin, che non può muoversi dalla Russia per non rischiare l’arresto come criminale di guerra, su mandato della Corte Penale Internazionale, ma egli si era già detto rattristato per la scomparsa del sodale.
Il rapporto di molta gente ― ovviamente non di tutta ― con il defunto è stato di identificazione carismatica. Saltando le mediazioni, il suo popolo gli si ricongiungeva in una storia di successo e, anche quando le sue sorti si sono volte al ribasso (i servizi sociali scontati dopo una condanna penale definitiva per frode fiscale), ha continuato a seguirlo e ad amarlo, assecondando la narrazione, in verità non priva di qualche fondamento, di una magistratura dell’accusa persecutrice, compresa la rinascita dopo molti tentativi di azzopparlo: un romanzo a lieto fine.
Qui c’è – anche, non solo – una parte del Sud, quella che quasi ottant’anni fa votò in massa per la monarchia sabauda, dopo avere tenuto per quella borbonica, che nella mia Napoli si innamorò nel tempo di Lauro, Bassolino e Maradona e nella Bari del pubblico che mi legge si riconosce, al di là delle parti politiche, ieri in Nichi Vendola, oggi in Michele Emiliano.
Queste città vedono anche modi di rappresentare il potere più felpati e di mediazione (quelli di Gaetano Manfredi e Antonio Decaro, ad esempio), ma certo continua a esistere una parte del Mezzogiorno per il quale il “vero” Presidente era appunto Berlusconi, non l’altro che in Duomo incarnava legittimamente il ruolo di Capo dello Stato, ossia il sobrio e silenzioso Mattarella.
Ora che l’uno è ormai consegnato alla Storia, che lo giudicherà nel bene e nel male con un distacco critico che sarà possibile solo negli anni che verranno, a chi continua a pensare “Meno male che Silvio c’è” (o c’è stato), ci permettiamo di opporre il nostro “Meno male che c’è Sergio”.
Salvatore Prisco è Costituzionalista
Bentornato,
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