Il signor presidente del Consiglio? No il presidente del Consiglio. Si tratta del distinguo di un uomo che non ama il barocco tipico del burocratese? Giammai. È la preferenza espressa dalla prima presidente del Consiglio della Repubblica italiana, per gli atti istituzionali legati al suo mandato.
Una scelta che non merita riflessione o dibattito? Lo merita, eccome. Il definirsi al maschile non può essere considerato semplice elemento di colore visto che a scegliere l’articolo il è una donna che ha fatto dell’identità nazionale la sua cifra e la chiave di un successo politico che l’ha vista primeggiare, sulla destra e sulla sinistra, sia pur in un quadro di crescente astensionismo: tre italiani su dieci non hanno votato e uno su due in alcune regione del Sud non ha esercitato il diritto al voto. La scelta del maschile, per definire la funzione ricoperta, è una semplice sgrammaticatura? La lingua italiana prevede due generi: maschile e femminile, con un dibattito aperto sull’introduzione del genere neutro (già bocciato dall’Accademia della Crusca). Ora, sottovalutare o trascurare o travalicare quelle che sono le regole della grammatica italiana lascia aperti molti e complessi interrogativi. Il violare le regole della grammatica italiana, da parte di chi difende a spada tratta l’italianità – che dovrebbe essere concetto onnicomprensivo dell’identità nazionale –, è quantomeno contraddittorio. Per il vocabolario della Lingua italiana Treccani: «L’attribuzione del genere a un nome risponde a criteri sia formali, sia di significato». Al netto del tema sulla contraddittorietà di Giorgia Meloni nell’esaltare l’italianità per poi ignorarne un pezzo fondante qual è il linguaggio e le sue regole, c’è una questione politica sottesa a questa scelta. È ben noto che all’indomani della rivoluzione femminista le donne non sono riuscite a formulare una declinazione i ruoli al femminile, ma hanno assunto modalità – peraltro le più deteriori – di modus operandi tipici dell’universo maschile. Un’affermazione del maschile sul femminile che passa nei ruoli dirigenziali in rosa, ma anche nei costumi. Basti pensare a fumo e alcol il cui consumo è salito vertiginosamente tra le donne con gli effetti indesiderati in campo sanitario che nei decenni passati riguardavano in gran parte gli uomini. Ma questa è un’altra storia.
Quel che è certo? La scelta di campo del maschile, per definire il ruolo esercitato, è un problema complesso e profondo che investe in primis la cultura delle donne, rispetto al loro ruolo nella società. Purtroppo la rivoluzione femminista è stata rivendicazione di diritti, senza – però – un dibattito capace di sviluppare una crescita della consapevolezza delle donne nell’esercitare una funzione avvalendosi dei propri talenti e delle differenze si genere. Buon lavoro, allora, alla presidente del Consiglio, con l’auspicio che sappia essere interprete delle differenze di genere essendo gravata da una funzione che segna una linea di confine rispetto alla valorizzazione dei talenti, delle competenze e delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche che connotano uomini e donne. Le differenze di genere, solo se concorrono in sinergia – nel confronto dialettico tra maschile e femminile – possono portare sviluppo ecosostenibile, rispetto dell’individuo e, non ultimo, la pace nel mondo.