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Medicina? Vi spiego perché la riforma danneggia i giovani

La legge 26/2025, propagandata dal governo come “l’abolizione del numero chiuso a Medicina”, è in realtà lontana da un’apertura totale del corso di studi. Il numero chiuso non viene abolito, ma solo rimodulato: la selezione avverrà dopo il primo semestre, invece che attraverso un test iniziale. La legge delega il governo a definire i dettagli con successivi decreti ministeriali, stabilendo le materie comuni ai corsi di area biomedica, sanitaria e veterinaria, uniformando i programmi didattici, organizzando la graduatoria nazionale e prevedendo meccanismi di transizione per chi non potrà proseguire in Medicina. Il test di selezione non scompare, ma viene posticipato.

Questa riforma avrà un forte impatto sull’organizzazione accademica, costringendo le università a riorganizzare i corsi per accogliere un numero inizialmente elevato di studenti; quasi certamente, nonostante le contrarietà dell’opposizione in Commissione, l’elevatissimo numero di iscritti al primo semestre (tra 60 e 80mila), sarà ammessa la didattica a distanza, favorendo così le università telematiche private, che in tal modo entrerebbero nei corsi di Medicina: un ultimo baluardo che crolla! L’illusione di un accesso più ampio al corso di studi rischia di tradursi in uno competitivo tra studenti, con pesanti conseguenze psicologiche ed economiche per famiglie e studenti.

La Francia, che per decenni ha adottato un sistema simile con selezione dopo due semestri, lo sta ora rivedendo, a causa delle sue criticità. In quel contesto si parla di “generazione perduta” e di “macelleria generazionale”, un modello che sottopone gli studenti a una pressione estrema. Il film “Première Année” racconta proprio questa realtà, fatta di sacrifici, indebitamento, delusioni, crisi familiari. La riforma italiana rischia di produrre gli stessi effetti, trasformando il sogno di molti in un doloroso percorso di esclusione. Gli studenti non ammessi a proseguire in Medicina potranno iscriversi a corsi affini, ma solo se avranno superato tutti gli esami previsti nel primo semestre. Se anche solo uno viene mancato, nessun credito formativo verrà riconosciuto: una misura penalizzante.

Tuttavia, la vera questione è un’altra: siamo davvero pronti e convinti di abolire il numero chiuso a Medicina? La selezione degli studenti non può essere l’unico nodo del dibattito. Serve una programmazione chiara che consideri il fabbisogno di medici, il turnover per pensionamenti, le specializzazioni in crisi e le necessità del sistema sanitario. L’attenzione dovrebbe spostarsi su riforme più ampie, come l’aumento delle borse per le scuole di specializzazione, il potenziamento dei pronto soccorso e della medicina d’urgenza, e un investimento significativo in strutture e docenti. Una riforma efficace dovrebbe coinvolgere Ministeri di Salute e Finanze, Ordini professionali, organizzazioni sindacali e studentesche e Regioni, per una pianificazione integrata.

La legge e i futuri decreti attuativi si concentrano solo sul numero di accessi a Medicina, senza affrontare i problemi strutturali della sanità. Paradossalmente, mentre si promette di aumentare gli studenti, si tagliano di circa un miliardo i finanziamenti agli Atenei, aprendo la porta alle università telematiche private. Non si investe sulla medicina territoriale e preventiva né sull’incremento del personale universitario e ospedaliero. Inoltre, manca una visione strategica che distribuisca equamente le strutture sanitarie, evitando la concentrazione nei grandi centri urbani e valorizzando presidi più piccoli nelle aree interne. La questione richiede una discussione ampia per produrre risultati concreti. Senza una programmazione organica, questa (finta) riforma rischia di essere un intervento superficiale, incapace di risolvere le criticità del sistema sanitario e della formazione medica, danneggiando studenti e futuri professionisti.

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