Lo scorso 7 gennaio è stata la giornata dedicata la Tricolore, ma avrebbe dovuto essere anche la Giornata del diritto di restare (e della libertà di partire e di tornare). Perché agli amici che partono non mi abituo mai, come evidenzio nel mio ebook dedicato allo spopolamento dei paesi, intitolato “Dalla parte dei paesi-appunti contro lo spopolamento”.
Le aree interne sono patrimonio nazionale, come ha ricordato anche il presidente Sergio Mattarella nel suo recente viaggio siciliano. «Nel nostro Bel Paese tante città, tante aree interne o montane sono protagoniste della storia. Le aree interne, montane, delle piccole isole coprono il 60 per cento del nostro territorio, ci vivono 13 milioni di nostri concittadini. Sono per il nostro paese una ricchezza non solo storica e di memoria, conservano una immensa ricchezza di patrimonio artistico e culturale», ha ricordato il capo dello Stato che ha aggiunto «che fa parte essenziale, protagonista dell’attrazione che il nostro paese esercita nel mondo per la sua cultura, la sua arte, la sua storia, il suo modello di vita. Sono aree che richiedono, quindi, un intervento costante».
Parole che rimandano a un ricordo di un giorno d’estate, come riporto nel mio libro.
«È il 29 luglio 2024. Mentre cerco di godermi la mia prima vacanza con la famiglia senza il peso della fascia tricolore e il pensiero fisso alle cose da fare in paese, l’Istat pubblica un focus sulla demografia delle Aree interne. Tema caldissimo. Quasi come la temperatura. Tanto più che ho appena finito di leggere Vuoto a perdere di Marco Esposito (per Rubettino editore), un libro che, con l’efficacia di un pugno nello stomaco, parla del collasso demografico italiano e di come provare ad invertire la rotta. In base alla nuova mappatura relativa al ciclo di programmazione 2021-2027 della Snai – recita il rapporto – le Aree interne comprendono oltre 4 mila Comuni, il 48,5% del totale. Si tratta di territori fragili nei quali i fenomeni demografici, come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono a causa delle migrazioni, sono esacerbati rispetto al resto del Paese e la cui analisi può essere d’ausilio come strumento di programmazione. Al 1° gennaio 2024, nelle Aree interne risiedono circa 13 milioni e 300 mila individui, circa un quarto della popolazione residente in Italia; nei Centri, invece, la popolazione è pari a 45 milioni e 700 mila individui. Dal primo gennaio 2014 al primo gennaio 2024 la popolazione residente nelle Aree interne è diminuita del 5% (da 14 milioni a 13 milioni e 300mila individui), mentre quella dei Centri dell’1,4% (da 46 milioni e 300mila a 45 milioni e 700mila)».
Dunque, «ci sono due Italie, quindi. A velocità differente. Meno 1,4% in generale, meno 5% nelle Aree interne». In verità «le Italie sono tre perché i numeri peggiorano ancor di più al Sud. La perdita di popolazione nelle Aree interne del Mezzogiorno (-6,3%,meno 483mila individui) è più intensa rispetto a quella nelle Aree interne di Nord e Centro dove la diminuzione è, rispettivamente, del 2,7% e del 4,3% (oltre meno 100mila individui per entrambe). Nel Mezzogiorno, tra i Comuni in declino, oltre due terzi sono comuni delle Aree interne, mentre nel Centronord i comuni interni sono oltre un terzo. Se, quindi, nel Centro-nord, il calo demografico coinvolge quasi in egual misura i Comuni interni e quelli centrali, nel Mezzogiorno la diminuzione della popolazione riguarda per lo più Comuni appartenenti alle Aree interne e risulta, inoltre, più intensa rispetto a quanto accade per la stessa tipologia di Comuni nel Centro-nord».