Fitto e Ribera sono ufficialmente vicepresidenti esecutivi della Commissione europea. Ursula von der Leyen può tirare un sospiro di sollievo, Giorgia Meloni può esultare e l’Unione può finalmente prepararsi ad affrontare questioni spinose come guerre, immigrazione, rilancio dell’economia e rapporti con i nuovi vertici degli Stati Uniti.
C’è, però, un dato che lascia perplessi. E cioè il modo in cui il Partito popolare europeo (Ppe) ha tentato di affossare la nomina di Ribera. Nell’accordo trovato mercoledì pomeriggio (e poi superato), infatti, una “mano anonima” ha inserito una clausola in base alla quale la commissaria spagnola si sarebbe dovuta dimettere nel caso in cui fosse finita nel mirino della magistratura per la gestione dell’alluvione di Valencia.
Ancora una volta la politica usa la clava delle inchieste per i propri regolamenti di conti: una pratica alla quale noi italiani siamo purtroppo abituati e che, negli anni, ha alterato gli equilibri costituzionali tra poteri dello Stato e ordine giudiziario.
La circostanza è grave perché quella clausola è stata inserita dal Ppe, partito che dovrebbe rappresentare il baluardo del garantismo e di cui non a caso fa parte Forza Italia. E diventa addirittura preoccupante se si pensa che, in passato, il Ppe si è servito del Qatargate per demolire i parlamentari socialisti ben prima che per questi intervenisse una pronuncia definitiva della magistratura.
Significa che il Ppe sta smarrendo l’anima garantista e che milioni di garantisti europei sono destinati a rimanere orfani. Chissà che cosa avrebbe detto Silvio Berlusconi, garantista autentico e pilastro del Ppe, di questo teatrino.
Bentornato,
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