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L’ordine mondiale sta cambiando e solo il Mediterraneo può salvarci

In queste ore il mondo osserva con il fiato sospeso gli attacchi americani in Iran. Siti colpiti. Reazioni temute. Il petrolio che rischia di prendere il volo. La tensione che sale. Eppure, in mezzo a questo rumore assordante, io sento il bisogno di dire qualcosa che pochi hanno il coraggio di dire: forse è proprio questo il passaggio obbligato per arrivare alla pace. Perché se c’è una cosa che la storia ci ha insegnato – anche se spesso fingiamo di dimenticarla – è che la forza, quando usata con misura, può riportare equilibrio. Non sempre. Non ovunque. Ma a volte sì. Soprattutto quando tutto il resto ha fallito.

Non possiamo continuare a raccontarci che il Medio Oriente si sistemerà da solo, che l’Ucraina troverà la strada per la libertà senza una reale pressione globale, che l’Iran possa avanzare indisturbato verso l’atomica senza che nessuno gli intimi di fermarsi. Non possiamo vivere nel limbo dell’ambiguità, sperando che le cose migliorino da sole. Perché, di solito, non lo fanno mai.

L’Iran, al giorno d’oggi, è isolato. Ma è anche imprevedibile. È una minaccia nucleare concreta, in una regione dove ogni scintilla può diventare un incendio globale. E nessuna potenza – né Russia né Cina né le monarchie sunnite – ha davvero interesse affinché a Teheran si completi il suo programma atomico voluto dagli ayatollah.

Dietro le dichiarazioni ufficiali, però, c’è un sollievo silenzioso. La realtà è che nessuno vuole un nuovo stato nucleare fuori controllo. Nessuno vuole vedere Hormuz bloccato, le forniture interrotte, la benzina che diventa un bene di lusso, e i popoli ancora una volta sacrificati sull’altare delle diplomazie deboli. E allora sì, forse questo attacco americano è stato il colpo che serviva a rompere il silenzio. A tracciare un limite. A dire: fin qui.

Non credo allo scoppio della terza guerra mondiale. Credo a qualcosa di più sottile e potente: un riassetto che sta prendendo forma sotto i nostri occhi. Perché adesso tutti devono scegliere da che parte stare. E chi per decenni ha fatto dell’ambiguità la sua politica estera, dovrà finalmente decidere e prendere una posizione chiara.

In tutto questo vedo una grande opportunità: il Mediterraneo. Per decenni abbiamo parlato del Mediterraneo come una frontiera. Un confine. Un problema. Io, invece, lo vedo come la risposta. Un ponte tra energie, culture, economie. Il luogo dove può nascere una vera indipendenza energetica per l’Europa. Dove il Sud – quello che troppo spesso viene colpevolmente dimenticato – può trasformarsi in una imprescindibile piattaforma strategica per una nuova sicurezza condivisa. Già, perché l’Italia può essere centrale. E il Mezzogiorno può rivestire un ruolo da protagonista. Ma bisogna avere il coraggio di guardare oltre il caos e vedere lo spazio che si apre: un nuovo ordine, che tutti noi dovremo essere capaci di costruire.

Oggi non serve gridare allo scandalo. Ciò che è indispensabile è la lucidità. La visione. E la forza di scegliere: subire gli eventi oppure anticiparli. Personalmente, sono portato a scegliere la seconda. Perché è proprio nei momenti più difficili che si ridefiniscono le mappe del mondo. E noi dobbiamo esserci. Da protagonisti.

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