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Lo sport in agonia nella sede dei Giochi del 2026

Lo sport a Taranto è moribondo. E succede proprio nell’anno in cui Taranto è Città europea dello Sport e dovrebbe saltare gioiosa su quel gigantesco treno in corsa che sono i Giochi del Mediterraneo 2026, l’investimento sportivo più grosso degli ultimi anni al Sud Italia, con 300 milioni di euro a disposizione per rifare a tempo di record stadi, palazzetti, piscine e creare nuovi impianti che, si spera, non restino cattedrali nel deserto.

Una overdose di denaro e sport che dovrebbe spingere ogni tarantino ad uscire di casa in tuta per cimentarsi in qualche disciplina, tanto sarà la disponibilità di spazi e impianti tra poco, ma la realtà, purtroppo, è diversa.

Mentre nel Leccese e nel Brindisino i Comuni hanno fatto a gara per entrare nel masterplan e attingere ai fondi, fosse anche per rifare un tetto e ospitare una gara di briscola, il Comune di Taranto, già commissariato dal governo nel comitato organizzatore, in piena sindrome da padrone del pallone ha abbandonato anche gli ultimi progetti che gli erano affidati, uscendo di scena e lasciando ad altri l’organizzazione del più importante evento in casa propria.

Non solo. La squadra di calcio locale, il Taranto Fc 1927 è alle prese con l’ennesima grave crisi societaria. Mr Campbell, lo straniero arrivato da lontano con la promessa di portare in serie A una squadra impantanata nella bassissima classifica della serie C, si è ritirato in buon ordine, lasciando col cerino in mano anche chi, incautamente, si era affrettato a concedergli saloni e palchi, garantendo la bontà dell’affare.

E non va meglio al basket. Il Cj Taranto ieri ha gettato la spugna. Si è ritirato dal campionato interregionale di serie B. Siamo «rimasti soli, abbandonati», scrive la squadra sui social, «non possiamo continuare con questo salasso». Lo sport, va ricordato, è vita, salute, emozione, è inclusione, socialità, muove l’economia ma è anche programmazione, gioco di squadra. Non si può giocare sempre a “pallafatù”, come si dice a Taranto, cioé calciare il pallone a caso sperando vada in porta senza un progetto preciso. C’è il rischio, sportivamente parlando, che finiremo tutti col darci all’ippica.

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