Ad Ascoli Satriano si è svolta una giornata significativa per la comunità locale. Dopo l’inaugurazione della nuova sede della biblioteca comunale presso Villa Ricciardi, alla presenza del sindaco, Vincenzo Sarcone, del delegato alla cultura Massimo Capuano e del vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, mons. Fabio Ciollaro, in una sala gremita di gente si è tenuto un convegno dedicato alla presentazione del libro di don Ilario Iwaka Kitambala “Dalla Kenosis allo sguardo empatico dell’altro”. L’evento, che ho avuto il piacere di moderare, ha visto la partecipazione dell’autore e di don Leonardo Catalano, offrendo un’opportunità di dialogo e approfondimento. Numerosi gli spunti di riflessione che offre testo il di Don Ilario, in particolare sul mito di Narciso, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio.
Nell’attuale fase di “capitalismo edonistico”, come lo ha chiamato Recalcati, il narcisismo rappresenta il culto dell’apparenza, l’autoreferenzialità e l’isolamento dell’ego, simboli di un’epoca caratterizzata da vanità, ipertrofia dell’io e incapacità di relazione autentica. Narciso ignora l’altro (Eco), specchio della condizione moderna di solitudine egoistica ed indifferenza. Questo narcisismo, legato alla mercificazione e al consumismo, rispecchia la crisi identitaria e relazionale della società attuale. Narciso non è il Prometeo che rubava il fuoco agli dei per donarlo, in gesto estremo di sacrificio, all’umanità, facendola balzare in avanti verso la civiltà vera e propria, ma è colui che, per una punizione divina, s’innamora della propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua, struggendosi a tal punto da perdere la vita. In assenza di eroi ribelli e generosi, sembra che le istituzioni nazionali, sovranazionali, le comunità, i gruppi o i singoli si identifichino oggi nel personaggio di Narciso.
Ci sono due modi per perdersi, scrive Don Ilario: la segregazione nell’ego o nei nazionalismi, per cui l’individuo o la comunità si chiudono in se stessi, rinunciando al dialogo e generando esclusione e xenofobia; e la diluizione nell’universale, in cui l’individuo dimentica le proprie radici e identità, smarrendosi in un globalismo privo di legami concreti e autentici.
Qui assume importanza la rilettura postmoderna che Don Ilario offre del mito di Narciso, considerato in una prospettiva positiva che esplora il dualismo tra egocentrismo e riflessione interiore. Il gesto di Narciso, infatti, non è solo un “flectere” su stesso ma anche un “reflectere” e suggerisce che la moderna crisi antropocentrica possa essere superata attraverso un ripiegamento su stessi, ma in senso riflessivo e relazionale verso l’Altro. E in effetti Narciso è la metafora tuttora pregnante di una scoperta della propria identità, dell’io che si vede come un tu e ha dunque molteplici “riflessi” sul pensiero, anche contemporaneo, della soggettività e della riconoscibilità di un “altro” che in realtà ci appartiene come necessaria espansione della nostra stessa individualità. Questa riflessione si rivela tanto più interessante in quanto offre dei punti di contatto con le culture di altre Regioni del mondo.
In Oriente, la parte nascosta dello specchio è più importante della superficie riflettente che, a Occidente, è alla base del mito di Narciso. In Cina, in particolare, lo specchio è concepito come una sorta di confine, una fragile membrana su cui si riflettono le ombre di entità divine, simboli cosmici e religiosi, ma è anche la metafora della mente che si allena per spingersi oltre la soglia delle verità apparenti. Il confronto con lo specchio quindi implica non solo un’esposizione al suo giudizio, ma anche un processo di compenetrazione.
Le stesse missioni spaziali cinesi verso il lato nascosto della Luna amplificano questa prospettiva. La Luna ha un lato oscuro che non si mostra mai direttamente alla Terra. In questo contesto, rivolgere lo sguardo verso ciò che è nascosto diventa un gesto simbolico di esplorazione di ciò che è al di là del visibile e dell’apparente. Seguendo tale logica, il confronto con lo specchio non si limita a un atto superficiale, ma diventa un viaggio interiore: se consideriamo che la profondità è, in fondo, la superficie osservata dall’altro lato, allora specchiarsi non si riduce a un atto di sterile ripiegamento su sé stessi. Al contrario, diventa un’opportunità per esplorare le pieghe nascoste della relazione con l’Altro, ampliando il significato del proprio riflesso ed aprendo nuove prospettive di dialogo e conoscenza.
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