A dire il vero un po’ ce l’aspettavamo che il nome di Cattelan rispuntasse tra le pagine di giornale. Diversamente non ci saremmo aspettati che un elemento principale e dirimente della nuova polemica giudiziaria sorta sull’imbrattamento avvenuto al “Dito medio” dell’artista padovano nel 2023, sarebbe stata la critica d’arte. Eppure a buon diritto potrebbe essere un “fattore sorpresa” per i lettori del 2025 immemori del caso Sgarbi sull’Ortolano, ma gli storici dell’arte si ricorderanno del processo intentato sui falsi taccuini di Caravaggio a Milano e risoltosi con la sentenza di condanna nel 2017, per non andare troppo indietro in alcune vicende esemplari della prima guerra mondiale.
Alla sentenza 2433 del 3 marzo 2025, pronunciata dal Tribunale di Milano sull’azione deturpante rivolta alla statua “L.O.V.E” di Maurizio Cattelan da parte del gruppo attivista di Ultima Generazione il 15 gennaio 2023, viene registrata nell’atto la seguente motivazione confessata durante il processo: «Richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica in maniera efficace sul problema delle conseguenze della crisi climatica sull’intera popolazione». Questa la ragione che indusse gli attivisti a versare la vernice gialla lavabile sull’intero basamento dell’opera milanese, che sciolta del suo acronimo, vuol dire proprio “Libertà, odio, vendetta, eternità”. Dunque un nome una promessa sembrerebbe quasi, almeno per Cattelan e per lo storico dell’arte Tomaso Montanari che ha preso parte al dibattimento in qualità di consulente tecnico della difesa degli imputati.
Da parte della difesa è stato altresì dichiarato che l’atto apparentemente lesivo dell’immagine dell’opera non è stato originato da una volontà di nuocere alla scultura dell’artista, ma dall’esigenza di «rottura» con la nostra cultura indifferente all’emergenza climatica e ambientale. È stato accertato, infatti, che la vernice era stata parzialmente preparata con soluzione acquosa affinché non provocasse danni permanenti all’opera d’arte, così che infine essa è stata ripristinata del suo stato originario con l’impiego di interventi dal costo inferiore, dice Montanari, inferiore a 500 euro.
All’accusa pubblica di danneggiamento e deturpamento colposo dell’opera d’arte situata proprio davanti Piazza Affari di Milano, la difesa è “critica”, letteralmente, rispondendo che non v’è stato, oltre che alcuna intenzione di alterare l’integrità dell’opera a scopo offensivo, nessun danno soggettivo o lesione indiretta della statua per due motivi principali. L’uno è l’area di imbratto che si limita soltanto al basamento che, come ogni piedistallo, è equivalente al ruolo della cornice d’un quadro, non essendo compresa quindi nell’opera artistica dal momento che può «in qualunque momento essere sostituita». Il secondo motivo è invece per Montanari il ruolo stesso “transitivo” della scultura con cui essa stessa è nata ed è stata esposta pubblicamente.
La posizione in cui essa si trova, cioè proprio dinanzi la Borsa di Milano, non è casuale per il “Dito medio” di Cattelan, dal momento che implicava una reazione pubblica e sociale già nella sua struttura provocatoria e politica. L’opera di Cattelan, è certo un oggetto del diritto privatistico, ma dal fine pubblicamente democratico, cioè ad uso di tutti e come taccuino della libertà intellettuale di tutti i cittadini. È nata quindi, quella di Cattelan, come opera per essere imbrattata, modificata nel presente, perché questa la sua migliore funzione di godimento intellettuale.
Alla tesi sulla “transitività” di Montanari sarebbe da porre la retorica domanda se il vandalismo sociale possa a questo punto essere uno degli effetti responsivi dell’arte e quindi come movimenti estremisti che dall’arte dovrebbero essere tutelati. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno oggi, è quindi di una giustizia critica che comprenda integralmente la complessità del reale.
Bentornato,
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