Napoli è come il destino. Sai che ti appartiene, ti sovrasta, incombe addirittura su di te con le sibilline promesse di vaticini incompiuti, le attese sempiterne e le delusioni quotidiane, quelle, la fatica e la determinazione contro la rassegnazione, la passione e la ribellione, la solidarietà e la compassione, il riso e la malinconia, l’ironia, il canto e la gioia e la certezza che non potrai mai fermarti. Che ogni mattina bisogna ricominciare daccapo, come Sisifo o come il Padreterno che si guarda intorno e aggiunge qualcosa di nuovo e imprevedibile, inimmaginabile, al suo capolavoro. Perché non puoi farci niente e tanto meno puoi sottrarti al destino che gli dei o la vita stessa ti hanno assegnato. Perché essere di Napoli, semplicemente vivere a Napoli o arrivare a Napoli è come il destino.
Quando arrivi a Napoli, ti rendi conto di essere tornato per incanto nella placenta del grembo dell’Umanità. La pensavano così Alexandre Dumas e Stendhal, Goethe e Mozart, Caravaggio e Degas, artisti e intellettuali che qui giungevano per immergersi nel liquido amniotico della natura sempiterna. Il principe di Scanderbeg e il conte Dracula a Napoli trovarono la quiete. Lenin venne a rigenerarsi dalle frustrazioni dell’impero zarista e dalle paure per una rivoluzione piena di spine convivendo in quel di Capri con principi e principesse russe. Giacomo Leopardi riuscì finalmente a sorridere scoprendo il calore dell’umanità pronta a legarsi in “social catena”. La pensava così anche Virgilio che, nato a Mantova, di sé scrisse “Tenet nunc Parthenope” essendo qui sepolto. Perché a Napoli la continuità spazio-temporale è una categoria del quotidiano esistere, un aspetto della necessità di vivere ogni santo giorno trovando le risposte giuste, ma essa è destinata a dissolversi nei sogni come un velo leggero portato via dalla brezza o come nebbia rarefatta allo spuntar del sole. Gli dei Pagani a Napoli, e nel più ampio regno di Parthenope, mischiarono cielo e terra, mondo degli inferi e Olimpo, Acheronte e Averno, il fiume Lete e la reincarnazione e compirono il destino di Odisseo e quello di Enea guidato dalla sibilla cumana alla scoperta del suo destino. E confusero passato e futuro in un presente sempre saturo e pregno di entrambi. Il Dio cristiano si compiacque di scendere a terra e farsi pari alla gente di Quartieri Spagnoli, Sanità, Forcella e San Giovanni a Teduccio accogliendo tutti a ridosso delle sue chiese e dei suoi campanili. A San Domenico Maggiore egli si intratteneva a colloquio con Tommaso d’Aquino e nel convento ascoltava le pulsioni del cuore di Giordano Bruno come non seppero fare i suoi confratelli. I domenicani, investiti del magistero dell’inquisizione dal papa, a Napoli non accesero alcun rogo e nessuna sentenza di morte fu pronunciata.
Anche i re non furono da meno. Federico ne colse il destino di “omphalos” del Mediterraneo e vi creò la prima università pubblica del mondo conosciuto ed i suoi eredi, Manfredi e Corradino, la consacrarono a loro terra sepolcrale. Francesi e Spagnoli se ne contesero il privilegio e la rivoluzione francese trovò qui il suo più solido radicamento. Il napoletano Gaetano Filangieri elaborò il principio del diritto degli uomini e dei popoli alla felicità come scopo ultimo degli Stati ed esso informò di sé la costituzione degli Stati Uniti. E Napoleone lasciò che qui la sua rivoluzione si manifestasse al netto di ogni deriva imperiale che lo avrebbe travolto. Qui sono stati vissuti drammi inenarrabili e si sono manifestate le derive e le speranze dell’umanità. Il principe Carlo Gesualdo, nel suo palazzo che dava su piazza di San Domenico Maggiore, trucidò la sua sposa Maria d’Avalos. Se andate a piazza San Domenico Maggiore di sera, quando le luci tenue si accendono, e vi sedete sulla scalinata della basilica potrete sentire confusi con il vento gli echi dell’orgogliosa rivendicazione della libertà di amare urlata da Maria prima di gettarsi sulla spada del principe per il colpo finale. E se da via Carbonara salite verso via Foria all’altezza di via Domenico Cirillo non potrete fare a meno di soffermarvi a commemorare il sacrificio di un’intera generazione di brillanti giovani intellettuali che diedero vita alla Repubblica partenopea mettendo in fuga Ferdinando IV prima di essere sconfitti dall’ammiraglio Nelson che dal mare bombardò Napoli e la riconsegnò al re Borbone il quale, dimentico che quei giovani erano figli della sua stessa nobiltà e rappresentavano il futuro, li fece vigliaccamente passare tutti per le armi rendendo orfano il Mezzogiorno e l’Italia intera della sua classe rivoluzionaria più coraggiosa ed avanzata. E se entrate nel meraviglioso complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara, vi troverete un’esplosione impareggiabile della napoletanità.
Potrete passeggiare lungo la Napoli antica, tra cardini e decumani, e perdervi in un’umanità senza confini e nazionalità. Perché a Napoli tutti tornano alla dimensione primordiale e scoprono l’impareggiabile privilegio di essere al di là di ogni condizionamento e steccato nazionale. E potrete imbattervi nella basilica di San Paolo Maggiore la cui facciata è tuttora appoggiata alle colonne del tempio di Castore e Polluce e, se arrivate a San Lorenzo Maggiore, una folla di napoletani guidati da Masaniello vi farà sentire ancora l’urlo della ribellione montare come un uragano mentre allontanando quell’eco potrete scendere nella città romana e in quella greca perfettamente conservate sotto i vostri piedi e respirare finalmente al di fuori di ogni cesura tra presente e passato. E se virate verso San Gregorio Armeno scoprirete che quel distretto di arte e cultura che ha dato vita all’epopea dei presepi napoletani è antico e risale al culto di Demetra a cui la gente dedicava statuette votive per propiziare raccolti abbondanti e fortuna. Soffermatevi ad osservare un presepio, uno qualsiasi. Concentratevi nei pressi della grotta santa. Vi troverete Benino, il pastore dormiente che sogna il mondo a venire perché a Napoli sogno e realtà sono inestricabili e l’uno è il fondamento dell’altra. Perché qui da che mondo è mondo la gente vive con l’incertezza del domani, costretta a reinventarselo ogni giorno quel domani.
Perché Napoli è nata e trae la sua forza dalle energie primordiali seppellite nella enorme caldera che la contiene. Dai campi Flegrei sino al Somma-Vesuvio. E ogni giorno potrebbe essere l’ultimo e di sicuro ogni giorno è sempre il primo di una vita infinita per quanti in quella caldera ci vivono. Perché Napoli vive immersa nel sogno che produce la realtà perché questa, come nel sonno di Benino, si materializza e prende forma per sé e per l’umanità tutta intera man mano che si dipana. Perché l’umanità che vince a Napoli ha una indubbia certezza: può vincere ovunque essa si trovi a vivere, combattere e arare la propria esistenza. È in questa misteriosa sensazione di eterna invincibilità voluta dal destino e dagli dei antichi e contemporanei, al di là di ogni paura, angoscia, incertezza ed efferatezza, la missione universale di Napoli.
Il motivo per cui la vittoria dello scudetto qui non è un evento ordinario, il risultato della efficiente ed efficace managerialità di un gruppo dirigente e nemmeno il frutto di un popolo di tifosi che in esso depositano le loro attese e le loro soddisfazioni magari intrise di affari. Qui è sempre il frutto di un sogno. Il sogno di Benino che crea la realtà trasformandola e liberandola delle sue superfetazioni, delle sue frustrazioni, delle sue asperità impossibili e che fa dire a tutti ed a ciascuno “si può fare, lo possiamo fare, anzi lo abbiamo fatto” come avvenne con la cacciata dei tedeschi nelle quattro giornate che si conclusero con la fuga degli occupanti nazifascisti per la sorpresa degli alleati che vi giunsero a città liberata. Lo stesso sogno che fa piangere di gioia un ragazzo che viene dalla Scozia e che fa urlare di rabbia da secoli inesplosa un uomo dalla pelle “nira, nira comme a ché” che qui per incanto si trova a casa, si sente uno di casa e assorbe tutta la potenza necessaria per scardinare l’ultimo ostacolo allo scudetto. Lo stesso sogno che fa urlare alle ragazze tedesche che qui studiano per l’Erasmus “si siamo felici e siamo tutte napoletane”. Lo stesso miracolo che se andate alla Sanità vi fa scoprire uno zampillio di vita sorprendente sotto al ponte di Santa Teresa degli Scalzi che creò la segregazione di un popolo lasciato a vivere in una meravigliosa fenditura della roccia tufacea napoletana che contiene catacombe e basiliche chiese ed un mondo che ancora una volta è sintesi ed espressione del mondo intero.
Alla Sanità ed ovunque nei quartieri e nelle periferie non vi è crisi di natalità. Qui i ragazzi aggrediscono la vita sin da subito. A 16 anni ragazzi e ragazze sono già padri e madri, mi raccontarono i volontari delle cooperative che han ridato vita alle catacombe e alle chiese e promettono di riscattare con l’arte, la musica, la cultura, l’impegno sociale, tutto intero quel quartiere. Napoli è l’unica realtà italiana, non solo del Mezzogiorno, in controtendenza rispetto alla terribile prospettiva dello spopolamento nazionale e meridionale. Essa indica la direzione della salvezza ignorando ogni degenerazione ipercapitalista, ogni bieco consumismo e ogni egoistico edonismo impastato di cinico e vuoto relativismo.
Bentornato,
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