Nell’arco di 12 anni, dal 2011 al 2023, nel nostro Paese sono diminuiti di 115 unità i reparti di pronto soccorso, passanti da 808 a 693, con un calo di circa il 14%.
Ma questo cosa significa? Certamente la medicina è cambiata, oggi si scommette su una sanità diversa, strutturata sul territorio e sui medici di medicina generale, ma questi sono sempre di meno e costretti a svolgere funzioni a volte lontane anni luce dalla loro professione. Incombenze burocratiche e attenzione alla spesa sanitaria rendono sempre meno attraente questa specializzazione per i giovani medici.
E allora cosa resta? Restano attese lunghe come granelli di un rosario in corridoi stretti e affollati del pronto soccorso. Restano barelle che non bastano, posti letto mancanti, operatori sanitari sfibrati. E tutto questo su chi si abbatte? Su chi ha bisogno: pazienti esasperati e quando si sta male dei tagli alla sanità non importa a nessuno, del potenziamento del territorio o degli slogan pre-elettorali.
Quando si sta male, serve qualcuno che ascolti, qualcuno che possa prestare il meritato “pronto soccorso”. Il tanto decantato welfare si valuta da quante porte restano aperte quando si ha bisogno e da quante mani pronte a sostenerti ci sono quando si cade. Il calo dei pronto soccorso è un dato fatto di numeri, di gestione delle risorse, di valutazioni politiche. Ma dietro quel dato ci sono volti, storie, emergenze. E un giorno quei volti, quelle storie e quelle emergenze, potrebbero riguardare proprio noi. Pensiamoci.