Liste e simboli, è tempo di una riforma

È circostanza abbastanza nota che le elezioni politiche non si siano finora mai svolte a settembre. Ne consegue che l’offerta elettorale delle liste e delle candidature viene in via inedita definita ad agosto, quando comincia anche una strana campagna elettorale. Nell’opinione pubblica c’è una certa attenzione ai meccanismi per la legge elettorale (preferenze, sbarramenti e così via) ma ai fini dell’offerta politica non è meno importante la legislazione elettorale di contorno, che definisce tra le tante cose le condizioni di eleggibilità e i requisiti per presentare le liste, come l’eventuale collegamento ad un programma o leader, o il numero di firme da raccogliere.

Su quest’ultimo piano, il numero di presentatori delle liste, misurato sulle circoscrizioni, è dimezzato in caso di scioglimento anticipato delle Camere, come nel caso attuale, ma è numero fisso, che non tiene conto delle peculiarità dell’estate. La legge non considera che raccogliere firme nel mese di agosto è una fatica improba, se è vero che anche solo la campagna elettorale sarà tremendamente faticosa per le temperature, l’afa, la distrazione dei cittadini.

Le città sono vuote o piene solo di turisti, centinaia di migliaia di italiani sono all’estero: trovare i medesimi certificatori delle firme, per lo più avvocati che hanno appena chiuso gli studi, è difficile.

Eppure la presentazione delle liste, con i suoi requisiti, è un momento misconosciuto ma fondamentale delle democrazie. Per questi adempimenti passa il ricambio della classe politica che viene espressa dalla cittadinanza ma tende fatalmente a diventare ceto politico. Ogni Paese ha i suoi partiti tradizionali e l’Italia ne ha fin troppi. Ma proprio perché in Italia manca un assetto definito è più importante non ostacolare il rimescolamento delle carte in campo, sperando in un assetto meno caotico e più razionale. Utilizzando invece le maglie larghe dell’attuale legislazione elettorale, abili politici si piazzano da tempo agli snodi degli schieramenti e, godendo della loro rendita di posizione di un lontano ingresso in Parlamento, perpetuano la loro presenza mercanteggiando simboli e denominazioni, per il beneficio connesso dell’esenzione delle firme per le liste già presenti in Camera e Senato. Questo beneficio, di per sé significativo, appare oggi enorme per le ragioni che abbiamo indicato e sta condizionando questo inizio di campagna elettorale.

Un Paese liberale dovrebbe curarsi di non consentire queste strozzature della rappresentanza, tanto quanto dovrebbe combattere la frammentazione. L’opinione italiana è ormai equiparata a quelle europee, volatili e volubile. Occorrerebbe una legislazione ragionevole per equilibrare il giusto rilievo da attribuire ai partiti tradizionali, già conosciuti dagli elettori, e lo spazio di apertura del sistema rispetto a rilevanti novità. Invece vediamo circolare i simboli più curiosi e complicati mai visti, alchimie incomprensibili all’estero, che nel cerchio ospitano anche quattro o cinque soggetti politici esplicitati. Tutto questo non è serio. Anche perché basterebbe poco per avere una legislazione più civile e lineare, come garantendo la certificazione elettronica delle firme, con gli adeguamenti del caso.

Marco Plutino è costituzionalista

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