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L’innovazione nel futuro di lavoro e sindacati

Il recente congresso della Cisl ha messo in luce le differenti strategie seguite dai sindacati italiani davanti alle complesse sfide del mondo del lavoro. Da una parte il modello della concertazione tra Governo e parti sociali che l’organizzazione di ispirazione cattolica ritiene indispensabile per risolvere le criticità del sistema produttivo e rimediare alle distorsioni di quello retributivo. Dall’altra la mobilitazione permanente attraverso la quale la Cgil punta a centrare il fondamentale obiettivo del salario minimo.

Davanti a questa dicotomia e dopo il fallimento del recente referendum sostenuto dalla Cgil, però, viene da chiedersi: come vanno affrontate le nuove e complesse sfide del mondo del lavoro da parte dei sindacati?

Facciamo un passo indietro. Storicamente, per la Cisl la contrattazione collettiva è il mezzo indispensabile per migliorare le condizioni di lavoro e di vita delle persone e redistribuire equamente il reddito. Secondo la Cgil, invece, la contrattazione collettiva è soltanto il compromesso che consente di comporre i differenti interessi di classe. Questa divaricazione, nel corso degli anni, si è tradotta in differenti relazioni con i vari Governi in carica, ma non ha impedito ai sindacati di offrire un importante contributo quando per l’Italia si è trattato di adottare misure di contenimento dell’inflazione, di riformare lo Stato sociale e di entrare nella moneta unica.

Poi, negli anni Duemila, i sindacati sono stati protagonisti di un progressivo indebolimento accelerato dall’apertura dei mercati internazionali e dalla delocalizzazione delle produzioni. Quel declino si è accompagnato con un peggioramento dei livelli delle retribuzioni, una mancata crescita della produttività, gli scarsi investimenti in tecnologie e risorse umane, una forte ostilità nei confronti di politiche ispirate alle flexsecurity come la riforma Biagi e il Jobs Act.

Le sfide di oggi – o, per meglio dire, quelle di domani – sono più numerose e complesse di quelle che i sindacati italiani hanno finora affrontato, come ha opportunamente osservato Natale Frolani. La prima è quella demografica e consiste nella necessità di far fronte alla riduzione di circa cinque milioni di persone in età da lavoro nei prossimi 15 anni. La seconda è rappresentata dal deficit di competenze che impedisce di soddisfare la domanda di lavoro disponibile e che impone di attingere al bacino di immigrati che si riversano nel nostro Paese.

E poi c’è la sfida degli investimenti in tecnologie, indispensabili per far sì che le imprese restino competitive e incrementino la produttività. In un simile contesto, la strada maestra non è più lo sciopero generale, ma l’innovazione sociale: un nuovo sistema di relazioni che potenzi il ruolo sussidiario delle parti sociali e valorizzi il confronto nelle aziende e sui territori. A meno che non si voglia rimanere intrappolati in logiche novecentesche che non sempre hanno fatto il bene dei lavoratori.

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