Gli scontri verificatisi qualche giorno fa prima dell’incontro di calcio tra Sampdoria e Genoa ci portano verso una riflessione: perché continuiamo ad assistere a episodi di violenza?
Violenza fuori a uno stadio, violenza nelle abitazioni e raccontata puntualmente dai media, violenza nei tanti conflitti bellici sparsi qua e là, ma anche violenza nelle parole, negli atteggiamenti, nelle immagini televisive. Ma quello che maggiormente ci deve far riflettere è pensare come tutto questo ci lasci indifferenti, abituati a tale status quo.
C’è un modo per uscire da questo circolo vizioso? Probabilmente sì e bisognerebbe iniziare dalla cosa più semplice, ovvero “educare”, comprendendo fino in fondo l’etimologia del termine. Nella sua radice latina troviamo il verbo ducera e cioè condurre. Condurre dove?
Condurre i ragazzi attraverso un percorso che ha inizio dallo stato pulsionale e dovrebbe portarli a quello emozionale. L’uomo, a differenza degli animali, non deve fare i conti con gli istinti che li guidano, ma con le pulsioni, che possono portarlo fuori strada. Educare alle emozioni significa far emergere l’eco emotivo nei propri comportamenti.
La maturità non può essere un traguardo anagrafico che si raggiunge, come una qualsiasi patente, ma la consapevolezza di aver acquisito una padronanza nei sentimenti. Certo, perché i sentimenti si strutturano in base all’esperienza e all’apprendimento sociale. Iniziamo proprio da qui e forse questa volta veramente potremo dire: “Andrà tutto bene”.