Il conflitto russo-ucraino sfugge alla massima di Carl von Clausewitz che definisce la guerra come “la continuazione della politica con altri mezzi”, poiché di politica, attiva e operante, in questo anno di sangue e macerie, se n’è vista davvero poca. Il conflitto ha assunto piuttosto un connotato ideologico, tipico di una guerra di religione, in cui la posta in gioco è l’annientamento dell’avversario. Una guerra che non è più un subordinato “strumento della politica” (per citare ancora una volta Clausewitz) diventa un conflitto senza sbocco, in cui la strategia si riduce alla tattica del campo di battaglia, alla conquista temporanea di un villaggio o di una collina, all’effimera avanzata di qualche chilometro, ottenuta a costo di migliaia di giovani vite, sacrificate senza uno scopo immediato e comprensibile.
Questa è la natura del conflitto che si svolge sotto i nostri occhi, un mostro che vive di vita propria, completamente sfuggito ormai al controllo di politici e diplomatici.
Per l’Occidente, la posta in gioco è il ripristino dell’integrità territoriale della Ucraina aggredita e la difesa della democrazia violata; per la Federazione Russa la posta è la sopravvivenza stessa del panslavismo, dell’egemonia russa sui popoli dell’ex Unione Sovietica concepita come una sorta di missione mistica. Al di sotto delle motivazioni ideologiche, si muovono gli interessi concreti di due imperialismi: quello russo, di stampo ottocentesco, diretto al controllo e allo sfruttamento di materie prime (e il Donbass ne è ricco) e quello dell’Occidente, diretto a perpetuare il suo elevato standard di benessere consumistico, mantenendo le ragioni di scambio a proprio vantaggio. La guerra con le conseguenti sanzioni ha lacerato la fitta trama di relazioni commerciali tra Occidente e Russia, che rendeva compatibili e complementari i due imperialismi. L’Italia era tra i maggiori tessitori di questa trama e ne subisce più pesantemente gli effetti. Secondo un’analisi pubblicata da Geotrade, quadrimestrale di geopolitica e commercio estero dell’associazione A World of Sanctions (Awos), nel dicembre 2022, le sanzioni imposte dall’Unione europea hanno colpito il 44,4°% dell’interscambio Italia-Federazione Russa, per un valore totale di circa 10 miliardi di euro. La perdita di export italiano verso la Russia nel 2022 si attesta intorno al valore di un miliardo e nel 2023 si stima un raddoppio del valore. Nel 2019, anno di riferimento prima della crisi pandemica, il totale dell’export italiano verso la Russia si era attestato a circa 9,1 miliardi di euro, il 2,5% sull’export complessivo dell’Italia, mentre le importazioni dalla Russia ammontavano a 13,7 miliardi, con un interscambio complessivo di 22,8 miliardi. Il peso percentuale delle esportazioni verso la Russia sul totale delle esportazioni italiane è passato dall’1,9 del 2019 allo 0,9 del 2022, con una contrazione del 22,9 % rispetto al 2021. La Russia pagava le sue importazioni dall’Italia prevalentemente con carbone, gas e petrolio, per un valore di circa 5 miliardi nel 2019 (l’Italia importava dalla Russia il 39.8% del suo fabbisogno energetico), prodotti sottoposti a divieto di import dal 5 dicembre 2022. I divieti hanno prodotto effetti marginali sull’import dalla Russia nel 2022, che registra addirittura un aumento del 79% rispetto al 2021 (dati Osservatorio Economico, Ministero Esteri), ma si stima che le restrizioni nel 2023 potrebbero valere circa 6 miliardi di euro. Ad essere penalizzata nelle esportazioni è soprattutto la filiera produttiva del Made in Italy. Nel 2021, l’Italia ha esportato in Russia macchinari e apparecchiature per un valore di 2 miliardi, mobili per 300 milioni, prodotti alimentari per 425 milioni, articoli di abbigliamento per 862 milioni. Le ritorsioni russe hanno penalizzato soprattutto i prodotti agro-alimentari, già colpiti dalle restrizioni seguite all’occupazione della Crimea e che hanno già causato una perdita di 1,5 miliardi negli ultimi 8 anni. Il Mezzogiorno, debole sul piano manifatturiero, occupa una posizione rilevante nell’export agroalimentare che pesa per il 17,8% sul totale delle sue esportazioni. Le sanzioni non sono mai state un metodo efficace per disincentivare gli Stati aggressori e, in un conflitto di lunga durata, come questo, danneggeranno i paesi sanzionatori che la Russia. Ma finchè i falchi reggeranno il gioco, non ci sarà spazio per le timide colombe (se ne esistono ancora).
Rosario Patalano è economista
Bentornato,
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