Ogni analisi seria sulle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno non può prescindere dal considerare la sua struttura demografica. In un solo anno, nel 2023, le regioni meridionali, isole comprese, hanno perso 400 mila unità (portando la popolazione da 19.857.000 a 19.776.000). Secondo dati Svimez, dal 2002 al 2021 oltre 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno (e l’81% si è spostato nelle regioni del Centro-Nord). Considerando i rientri, il Mezzogiorno, in venti anni, ha perso 1,1 milioni di residenti. Il flusso migratorio è stato particolarmente consistente tra le giovani generazioni (800 mila under 35) e tra i laureati (263 mila). Un vero e proprio salasso che ha dissanguato un corpo, quello dell’economia meridionale, già strutturalmente debole.
E la prospettiva non è rosea: si prevede che entro il 2080 il Mezzogiorno dovrebbe perdere ancora 1 milione e 276 mila unità, pari al 51% della popolazione da 0 a 14 anni. La popolazione residente nel Mezzogiorno si ridurrà al 13,6% del totale nazionale (oggi si attesta al 20%). L’età media della popolazione meridionale passerà dai 45 anni attuali ai 51,9 nel 2080. Gli effetti di questo calo demografico e dell’invecchiamento già si manifestano oggi. Una recente analisi della Cgia di Mestre (riferita a dati del 2022) evidenzia il nesso tra crisi demografica e sistema di Welfare.
Al Sud il numero di sussidi pensionistici supera il numero di salari e stipendi (7.209.000 pensioni contro 6.115.000 redditi da lavoro). Il saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate è particolarmente elevato in alcune province meridionali, tra cui Lecce (la differenza è pari a -97 mila), Napoli (con -92 mila), Messina (con -87 mila), Reggio Calabria (con -85 mila) e Palermo (con -74 mila). Se andiamo nel dettaglio disaggregando il dato complessivo per classi di età (dati INPS) possiamo osservare che nel Mezzogiorno il 40,0% del totale nazionale di pensioni è erogato a persone di età compresa tra i 15 e 39 anni e il 46,2% a persone con età compresa tra i 40 e 54 anni, cioè a popolazione in età lavorativa. Si tratta ovviamente di pensioni di invalidità che sono sensibilmente più numerose di quelle erogate a Nord (rispettivamente il 36,9% e il 34,7%), anche in relazione alla popolazione.
Ovviamente le condizioni del mercato del lavoro influiscono anche sulla retribuzione media: nel Mezzogiorno, il numero dei pensionati con redditi pensionistici sotto i 500 euro mensili rappresenta il 13,1%, nel Centro il 9% e nel Nord il 6,8%; questo distacco appare ancora più pronunciato se si considerano i pensionati con sussidi compresi tra 500 e 1.000 euro mensili che nelle regioni meridionali sono pari al 27,1%, mentre al Centro sono pari al 20,3% e nel Nord il 17,9%. Il reddito pensionistico pro-capite annuo del Mezzogiorno è di 17.672 euro, nel Nord di 21.628 e nel Centro di 21.420. Nel 2023, ultimo anno di applicazione del Reddito di Cittadinanza, i soggetti beneficiari erano nel Mezzogiorno 1.896.499 (nel Centro, 362.446 e nel Nord 464.622), pari a circa il 70% del totale nazionale (con un reddito mensile di 626,88 euro, rispetto ai 558,02 euro erogati nel Centro e ai 534,55 euro del Nord).
Il quadro che emerge da questi dati ci restituisce un Mezzogiorno con un Welfare povero anche se molto diffuso. La combinazione di fenomeni demografici e condizioni difficili del mercato del lavoro condannano il Mezzogiorno nei prossimi anni a divenire la più vasta area dell’Unione Europea basata su redditi sussidiati. Se a questo si aggiunge che l’unica ricchezza è la rendita immobiliare, si può concludere che nel Mezzogiorno l’economia rischia nel lungo periodo la stagnazione. Un contesto che favorirà solo lo sviluppo delle mafie con i loro meccanismi di accumulazione illecita (narcotraffico). Non bastano alcuni dati congiunturali positivi, letti del resto in modo decontestualizzato, ad invertire la tendenza strutturale, né sono sufficienti politiche che si basano esclusivamente sull’iniziativa privata che storicamente non è mai stata in grado di avviare nelle regioni meridionali meccanismi endogeni di sviluppo. Occorrono serie politiche demografiche (puntando soprattutto alla integrazione dei flussi migratori in entrata, come afferma la Banca d’Italia), investimenti in infrastrutture e formazione per indirizzare il mercato e garantire reali processi di sviluppo nella legalità.