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Le incertezze e gli egoismi fanno crescere il numero di dink

Sono sempre più le famiglie italiane che scelgono consapevolmente di non volere figli, per vivere una vita più “appagante” a livello individuale, concentrandosi sulla relazione a due e sugli obiettivi di carriera. Sono le cosiddette famiglie “kids free” che gli americani chiamano “dink”.

L’acronimo sta per Double Income No Kids e sta a indicare quelle famiglie che possono contare su due stipendi e che non desiderano avere figli. Il rifiuto della genitorialità non trova giustificazione solo nella mancanza di mezzi, ma nel desiderio di anteporre la relazione a due e le ambizioni di carriera a un possibile figlio. Viaggi, shopping, avventure in giro per il mondo diventano esperienze prioritarie alle quali le giovani coppie non si sentono di rinunciare. A pesare sulla decisione delle coppie è, naturalmente, anche l’aumento del costo della vita: secondo un rapporto dell’Onf (Osservatorio nazionale federconsumatori) mantenere un figlio da 0 a 18 anni ha un costo medio di 175.642 euro.

Molti giovani, pertanto, decidono di non avere figli perché hanno paura di lasciarli in un mondo pieno di insidie. Pesano le preoccupazioni ambientali e sociali e, tali preoccupazioni, sono maggiormente diffuse soprattutto nei Paesi occidentali, compresa l’Italia, dove il tasso di natalità è in costante calo da almeno dieci anni.

Per sopperire a tale situazione il governo è intervenuto con le misure contenute nell’ultima legge di Bilancio che riguardano famiglia e natalità.

L’ Assegno unico universale è stato confermato e sono stati rafforzati sia il bonus per gli asili nido sia la decontribuzione parziale dedicata alle madri lavoratrici.

È stato reintrodotto un contributo una tantum destinato ai neogenitori: mille euro per i nuclei con un Isee sotto i 40 mila euro, erogati in un’unica soluzione per ogni nascita o adozione e un riordino delle detrazioni fiscali.

Per ultimo, ma non certo per importanza, è l’intervento sul congedo parentale, l’indennizzo è stato elevato con l’80 per cento dello stipendio da 2 a 3 mesi, mentre per i restanti 6 rimane pari al 30 per cento.

Tutto ciò rileva un’attenzione al fenomeno che, a mio parere, non deve riversarsi solo su azioni esclusivamente di tipo economico ma è necessario rendere “sicuro” il futuro di una nuova vita attraverso una sinergica sistematicità in tutti i settori coinvolti nello sviluppo del progresso e del potenziale umano, partendo proprio dai servizi essenziali fino ai diritti inviolabili che la nostra democrazia stenta spesso a difendere come fondamenti inviolabili della propria comunità sociale.

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