I lettori più attenti alla politica italiana ricorderanno certamente la polemica dell’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, contro i gufi, i menagrami, gli iettatori, che dir si voglia, che minavano col loro nero pessimismo l’“armonia celeste” inaugurata dal suo governo. Nonostante gli anatemi proferiti, i gufi non sono mai stati annientati: ogni governo li ha avuti, anche il governo Meloni non è sfuggito alla “maledizione”, e questa volta i gufi sono appollaiati nelle stesse strutture istituzionali e sono difficilmente eliminabili, anche volendo.
Gli “uccellacci del malaugurio” sono questa volta i tecnici dell’Ufficio italiano di Statistica che nell’ultima nota di febbraio, hanno tracciato un quadro nero delle prospettive dell’economia italiana. Nell’anno già segnato dal record del riscaldamento globale e dalle irrisolvibili crisi geopolitiche, l’Istat segnala che l’economia italiana è in fase di stagnazione con un Pil destagionalizzato a +0,5% su base annua e anche le previsioni per il 2025 stabilizzano il Pil intorno a zero. Insomma i dati registrati collocano il Pil molto al di sotto di +1% scritto nel Piano strutturale di bilancio approvato a ottobre dal governo Meloni. E, se si pensa che gli investimenti pubblici statali previsti dal Pnrr (7,5 miliardi di pagamenti in conto capitale, +29,7% sul 2023) e locali (22,3 miliardi, +19,3%) hanno raggiunto il picco, il quadro è ancora più allarmante, perché senza questo sostegno alla domanda interna, il Pil italiano sarebbe già in area negativa, come sta succedendo alla Germania (-0,2% su base annua).
I dati diffusi dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, un altro ineliminabile nido di gufi, rivelano che nel 2024 i fattori che hanno contribuito alla crescita del Pil sono state le esportazioni nette (+0,6% su base annua) e la domanda interna al netto delle scorte (+ 0,5%), mentre la variazione delle scorte ha pesato in senso negativo (-0,4%) dopo 738 giorni di calo tendenziale della produzione industriale italiana (puntualmente registrata dal Sole 24 Ore). La contrazione degli investimenti industriali nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ha riguardato prevalentemente gli impianti e macchinari (-3,9 per cento).
Le previsioni per il 2025 stabiliscono che nessun contributo potrà venire dalle esportazioni nette, che saranno ferme allo zero percentuale, mentre l’unico fattore di stimolo potrà venire dalla domanda interna (+0,7%, con i consumi concentrati, nei primi nove mesi dello scorso anno, prevalentemente sui servizi e sui beni durevoli, mentre la dinamica dei semidurevoli è stata modesta). La grande incertezza sull’assetto degli scambi internazionali pesa fortemente sulle stime. In più si aggiunge la previsione di un’altra fase di aumento dei costi dell’energia che peserà sul tasso di inflazione. Infatti, da agosto 2024, il prezzo del gas naturale sul mercato olandese (Ttf) ha ripreso a salire, accelerando a ottobre e ancor più negli ultimi due mesi dell’anno. Nel quarto trimestre del 2024 le quotazioni sono tornate al di sopra dei 43 euro per megawatt-ora, per aumentare ancora nei primi giorni di gennaio intorno a 47 euro.
Questo quadro ha ovviamente effetti sulla finanza pubblica imponendo un aggiustamento rispetto alla crescita del Pil indicata dal governo a +1,2%. Il debito è attestato ai 3mila miliardi e il rapporto debito/pil dovrebbe superare nel 2025 la quota 136,9% , in aumento rispetto al 135,8% dello scorso anno e nel 2026, registrare un ulteriore incremento al 137,8%.
Anche il più ottimista dei Pangloss non avrebbe più argomenti solidi. È ormai in crisi l’intero modello di sviluppo proiettato verso la domanda estera, occorre invece potenziare le componenti della domanda interna e ristrutturare le filiere produttive all’interno dell’Unione europea. In un modo che si avvia ai compartimenti stagni del protezionismo, non c’è altra soluzione.
Bentornato,
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