Nelle narrazioni del secolo scorso associamo Sigonella alla notte, l’ennesima tra le notti della Repubblica; un proscenio, esterno notte, in cui tra il 10 e l’11 ottobre 1985 si fronteggiarono gli uomini del Vam (Vigilanza Aeronautica Militare) e dei carabinieri da un lato e, dall’altro lato, militari della Delta Force americana.
Sullo sfondo, con cadenze drammatiche, il sequestro da parte di un commando di terroristi palestinesi della nave da crociera Achille Lauro e l’omicidio di Leon Klinghoffer. A valle, una crisi politica sfociata nel ritiro dei ministri repubblicani dalla delegazione del governo, la crisi e il dibattito parlamentare in cui il presidente del Consiglio Bettino Craxi paragonò Arafat a Giuseppe Mazzini.
La memoria – sui cui meccanismi di rimbalzo si sono scritti tomi – ha riattivato questo file ascoltando le parole del ministro Crosetto dopo gli spari contro il quartier generale e due basi italiane della missione Unifil in Libano da parte dell’esercito israeliano: «Non esiste la giustificazione di dire che le forze armate israeliane avevano avvisato Unifil che alcune delle basi dovevano essere lasciate. Ho detto all’ambasciatore di riferire al governo israeliano che le Nazioni Unite e l’Italia non possono prendere ordini dal governo israeliano».
Ed ancora: «Gli atti ostili compiuti e reiterati dalle forze israeliane potrebbero costituire crimini di guerra, si tratta di gravissime violazioni alle norme del diritto internazionali, non giustificate da alcuna ragione militare” ha detto ancora il ministro della Difesa». Parole nette che non si prestano a interpretazioni di sorta. Parole nette e coraggiose.
Il passo successivo, per necessario ordine logico conseguenziale, attiene a interrogarci in merito al nostro silenzio a fronte di crimini altri, al sangue versato che non è simile al nostro. La riflessione riguarda il dolore degli “altri”: quelli che sentiamo e percepiamo lontani da noi: sarebbe infatti aberrante ritenere un crimine di guerra l’attacco alla base Unifil e derubricare a danni collaterali la carneficina di bambini palestinesi.
La riflessione riguarda uno dei meccanismi cardine della ragione in armi: la sua predisposizione alla mistificazione, alla pratica indolore della doppia morale: come chi parla della Ucraina maciullata da Putin definendo “l’aleppizzazione” del contesto urbano ignorando e disconoscendo la stessa esistenza di una città (quella che resta) di nome Aleppo.
Ma Sigonella, che è un pezzo di Sicilia, è anche il titolo di un brano tra i più belli di Ivano Fossati, anno di grazia 1992. L’album si chiama “Lindbergh-Lettere da sopra la pioggia” , quello in cui ci trovate anche “Mio fratello che guardi il mondo”, “Notturno delle tre”. Capolavoro assoluto. Ebbene in quel pezzo – poco citato nella raccolta di musiche “contro” la guerra – Ivano circoscrive alle “ali nere di certe macchine da guerra” l’effetto che ogni bimbo avverte, a qualsivoglia latitudine: “mi fanno chiudere gli occhi e ancora il cuore”. Restano attuali quelle “ali nere” che trasformano il sogno in incubo. Ali che fanno tremare l’aria e finanche la calligrafia. Anche la terra, quella terra, che sembra affondare. Eppure, “se si alzasse la speranza che come gli aeroplani può volare, se questa terra smettesse di tremare”.