Studiare il mondo dei rapporti e delle relazioni uomo-donna sarebbe il primo passo che una politica seria dovrebbe affrontare per provare a modificarlo, ma è una strada che i governi non hanno mai percorso. Si è proceduto con leggi, decreti, regolamenti che – se qualcosa hanno prodotto – non è certamente il cambiamento che ci si auspicava. Se prendo in mano un giornale, mi accorgo subito che l’attenzione per il mondo delle donne è alto, ma quanto cambiamento ha prodotto? O non è piuttosto un ingraziarsi una ulteriore fetta di mercato che potrebbe essere allettante? Si segue il main streaming come fosse una moda. Per esempio, a Bari, una schiera di donne fumettiste, scrittrici, illustratrici, animatrici culturali, esperte di letterature per l’infanzia sono pronte a raccontare, ognuna a suo modo, il «Femminile sovraesteso», rassegna a cura del Collettivo Bandelle ETS e Ilenia Caito, sostenuta dal Consiglio regionale. O iniziative come «Libri come strumento di dialogo, l e parità di genere», o ancora il 19 settembre alla Fiera del Levante, l’incontro «Donne di Puglia», un evento per raccontare storie di successi tutti al femminile. Mostrare esempi di donne che ce l’hanno fatta, che occupano ruoli di vertice, per smuovere le coscienze, rimuovere pregiudizi e stereotipi. Utili certo per una ristretta élite.
Come gli indicatori, le analisi, le percentuali e i confronti tra il nostro Paese e quelli del Nord Europa: la donna finlandese in vetta come l’uomo, in Italia sono solo un terzo ai ruoli di vertice. Ma quanto impatta tutto questo sul sentire comune? Riesce la nostra regione ad apparire attenta e pronta al cambiamento?
È la stessa regione che dopo 15 anni di lotte delle donne per modificare una legge elettorale che sosteneva esclusivamente i poteri maschili, ha partorito cambiamenti talmente inadeguati da sembrare ridicoli. Una regione in cui la violenza sulle donne ha ancora numeri importanti. In Capitanata, osserviamo un aumento di casi di violenza. Le denunce crescono del 30 per cento rispetto allo scorso anno: 234 prime richieste d’aiuto, 152 donne già in carico nei centri antiviolenza della provincia. E anche nelle altre province i casi si moltiplicano e non solo perché le donne sono ormai più consapevoli.
Vi è un distorto concetto di proprietà sul corpo delle donne testimoniato in questi giorni dal gruppo social «Mia Moglie». Uno spazio pubblico in cui gli iscritti condividono foto più o meno piccanti delle proprie mogli, con il conseguente scambio di commenti grevi e battute. Il gruppo risulta essere stato creato nel 2019 e ha oltre 32mila iscritti. I commenti dei partecipanti ricalcano il classico campionario sessista e patriarcale che ci si può aspettare da chi considera accettabile violare l’intimità della propria partner. Un mix di voyeurismo e cameratismo, che spesso sfocia in espressioni violente. «Cosa le fareste?», si legge in un post che mostra una foto di una donna seminuda. «La stuprerei io», risponde uno degli iscritti. E questo è solo un esempio dei tanti scambi all’interno del gruppo. Uno degli aspetti surreali della vicenda è rappresentato dalle reazioni degli iscritti di fronte alle critiche e agli insulti piovuti nelle ultime ore: minimizzare o addirittura rintuzzare i critici.
Forse ignorando che in Italia la diffusione di immagini intime, senza consenso, è punita con la reclusione da uno a sei anni e multe dai 5mila ai 15mila euro. Da questo episodio viene fuori chiaramente uno spaccato di un’Italia ancora maschilista e misogina. Lo conferma anche una recente indagine dell’Istituto di Statistica sulla percezione dei ruoli di genere e sull’immagine sociale della violenza sessuale: su tutti gli interessati contattati persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Non è una novità che le donne, in particolare nel ruolo di madri, siano state anello di trasmissione della legge dei padri.
La novità è che, oggi, le destre riescono a rilanciare in chiave patriarcale, e conservatrice dei valori tradizionali, parole e simboli del femminismo. Una dimostrazione che non esistono soluzioni «tecniche» a problemi complessi che affondano le radici nella sfera sociale e culturale. Ma è necessario lavorare tutti per il cambiamento.
Bentornato,
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