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L’autonomia? Fregature senza fine

E adesso? Che ne sarà dell’Italia, ora che la legge sull’autonomia differenziata è stata approvata? Mentre si studiano contromisure come il ricorso alla Corte costituzionale o il referendum abrogativo, è il caso di riflettere sulla norma appena varata e sugli ulteriori rischi che essa porta con sé. Anche e soprattutto per sgomberare il campo da possibili equivoci ed evitare applicazioni scorrette che finirebbero per penalizzare ulteriormente il già martoriato Mezzogiorno.

La palla passa al governo Meloni che ha due anni di tempo per approvare i Lep in materie di fondamentale importanza come istruzione, sanità, trasporti e ambiente. Dopodiché l’esecutivo dovrà valutare le risorse finanziarie indispensabili per garantire l’applicazione nelle varie regioni.

Tanto premesso, non basta dire che per dare piena attuazione all’autonomia differenziata ci vorrà tempo, che la legge non prevede alcun obbligo automatico di dare seguito alle richieste di maggiori competenze avanzate dalle Regioni, che si tratta semplicemente di applicare un comma della Costituzione vigente, che la riforma responsabilizzerà i politici locali o renderà i servizi più efficienti. Quasi 70 anni di Regioni a statuto speciale, d’altra parte, hanno dimostrato come a maggiori poteri non sempre corrispondano performance amministrative più efficaci ed efficienti.

Quali sono, dunque, gli aspetti della legge Calderoli che ora bisogna tenere d’occhio? Il primo, come opportunamente evidenziato da Paolo Balduzzi e Chiara Mingolla, è la mancanza di un test o di un criterio tecnico per verificare se e quanto una Regione sia pronta a esercitare maggiori poteri. Non basta tenere conto del quadro finanziario dell’ente: la formula è troppo vaga. Un “esame” sarebbe indispensabile per evitare di assistere a richieste di autonomia velleitarie e destinate a rivelarsi fallimentari ancora prima di cominciare. In secondo luogo, appare opportuno che lo Stato affidi determinate competenze alle Regioni soltanto in materie e ambiti assai specifici, in modo tale da scongiurare il pericolo di una eccessiva frammentazione burocratica che finirebbe per compromettere l’efficienza nella gestione di certe materie.

Su questo fronte, non si può tacere una ulteriore perplessità: nel procedimento di attribuzione di ulteriori funzioni alle Regioni, il Parlamento nazionale sembra avere un ruolo troppo marginale; eppure si tratta di stabilire proprio quali delle specifiche competenze finora esercitate dalle Camere debbano essere cedute ad altri soggetti.

Infine, il rebus riguarda le risorse finanziarie: saranno sufficienti a far funzionare l’autonomia differenziata? Di qui la necessità di vigilare sul sistema dei trasferimenti delle risorse conseguenti alla determinazione dei Lep e sulla devoluzione delle funzioni in quelle materie che invece non sono coperte dai Lep.

Ben vengano, dunque, iniziative come il ricorso alla Corte costituzionale e la raccolta di firme in vista di un possibile referendum abrogativo. Altrettanto importante, però, è non abbassare la guardia su certi aspetti tecnici legati alla legge Calderoli: un compito che i parlamentari meridionali dovrebbero svolgere con particolare attenzione. A cominciare da quelli di centrodestra che, nell’aula della Camera, non hanno provato alcun imbarazzo nell’esprimere un voto contro i loro territori di provenienza.

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