L’antimafia dalle ceneri degli attentati

Il 2022. Come una pietra miliare sul cammino della storia contemporanea. Un monito nel tempo trascorso da quelle stragi di mafia del 1992 che hanno segnato un punto di non ritorno per le scelte di tanti. Trent’anni. Il tempo che ci separa dalla strage di Via D’Amelio. Ancora senza verità e giustizia. A Palermo, in una via popolata senza alcuna protezione, muoiono Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto Antonino Vullo. 57 giorni dopo Capaci e le morti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo. Una ferita collettiva non una tragedia personale, ci ricorda Fiammetta, la figlia di Paolo. Un punto di non ritorno. In quei giorni, probabilmente, è nata l’antimafia sociale così come la conosciamo adesso, fatta della reazione di tanti cittadini onesti che hanno deciso di non essere più indifferenti, semplici tifosi dagli spalti. Cittadini che hanno scelto di scendere in campo, giocare la partita, indossando un’unica divisa a differenza di chi, in quegli anni, ha preferito vestire contemporaneamente due casacche. Dalle ceneri di Capaci e di via D’Amelio nasce una nuova consapevolezza: non ci sono più quegli eroi cercati dal popolo per scrollarsi il polveroso impegno dalle spalle. Diventa chiaro che la faccenda richiede una nuova partecipazione. Nascono associazioni, movimenti, carovane e reti che fanno della lotta alle mafie un impegno quotidiano. Un volontariato che si cala nella società nuova che si vuole costruire. Anche in Puglia arrivano gli effetti di quelle esplosioni. Non è più solo Palermo, la Sicilia.

C’è un fermento nuovo, ovunque: l’associazionismo si organizza, s’ingegna, fa in modo che siano approvate leggi efficaci. C’è rabbia ma anche amore per la comunità, ci sono speranze. Un’onda lunga che porterà nella nostra Regione buone pratiche di cittadinanza.

Dalla Giornata della Memoria e dell’Impegno promossa da Libera a Bari nel 2008 arriva una spinta ancora più forte, centomila persone, centinaia di incontri a testimoniare che c’è un vento nuovo. Le vittime innocenti di mafia costituiscono la ragione di un impegno diffuso, armonico, che mette insieme l’associazionismo laico e gli scout, le parrocchie e i movimenti. Inizia la stagione delle misure a sostegno dei beni confiscati, dei territori restituiti alla collettività. Inizia la semina di Guglielmo Minervini, assessore regionale e di tanti amministratori capaci che sentono il vento del cambiamento, del momento opportuno. Ogni bella stagione conosce il suo tempo, come ogni pianta può seccare per poi rifiorire. Molto resta, qualcosa passa, nuove semine per nuovi raccolti.
Resta fondamentale fare memoria di tutto, a partire dalle storie delle vittime innocenti di mafia, come Hyso Telaray e Florian Mesuti, cittadini migliori di tanti arrivati da lontano. Così come la riconquista dei beni confiscati, storie di resistenza alle mafie. Ed è in nome di questa resistenza che non si deve interrompere la narrazione, ma soprattutto la costruzione della nuova antimafia sociale, quella delle comunità monitoranti e della formazione di nuovi presidi di democrazia.

Il nemico sono le mafie, le pratiche di corruttela, di prepotenza. Ma bisogna guardarsi anche dalla retorica che a volte rischia di addormentare le coscienze. Così ben vengano le innovazioni, le riflessioni e, se necessario, le critiche. A condizione che, per restare vigili, non si debba ogni volta aspettare il martirio. La nostra è una regione fertile di idee, donne e uomini capaci.

Guai ad addormentarsi. Come scriveva Alessandro Leogrande: «Solo il racconto dei margini e dei frammenti permette di aprire uno squarcio e di comprendere qualcosa. Comprendere come si intersecano tra loro cose vecchie e cose nuove».

Alessandro Cobianchi è direttore del Csv San Nicola di Bari

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