Il ministro Carlo Nordio non ha avuto esitazioni. E così ha inserito, nel disegno di legge di riforma della giustizia, una norma che prevede l’abuso d’ufficio, ritenuto corresponsabile della paralisi della pubblica amministrazione italiana. I numeri, in effetti, sono dalla parte del guardasigilli: nonostante nel corso degli anni si sia tentato di definire in maniera più chiara e precisa il perimetro dell’abuso d’ufficio, per questo reato sono stati incriminati 4.745 pubblici ufficiali nel 2021 e 3.938 nel 2022.
L’aspetto più preoccupante, però, è un altro: nel 2021 ci sono state 4.121 archiviazioni cui se ne sono sommate 3.536 nel 2022. In pratica, come il sindaco di Bari e presidente nazionale dell’Anci Antonio Decaro ha sottolineato in più di una circostanza, indagini e processi per abuso d’ufficio si concludono con l’archiviazione o l’assoluzione addirittura nel 98% dei casi, mentre nel 67% chi riceve l’avviso di garanzia non viene nemmeno rinviato a giudizio in un secondo momento.
Ciò ha scatenato la cosiddetta paura della firma o burocrazia difensiva nei pubblici amministratori o funzionari che spesso e volentieri preferiscono imboccare la strada più “tranquilla” in modo tale da evitare incriminazioni. Da qui derivano inefficienza, immobilismo e ulteriori ostacoli al rilancio del Paese attraverso il Pnrr. E la situazione è tanto più grave per il Sud, dove le pubbliche amministrazioni fanno già fatica ad attuare il Piano alla luce dello scarsissimo personale a loro disposizione. Ragionando in questi termini, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio sostenuta da Nordio non può che essere vista con favore. Tanto più se si pensa che i governi che hanno modificato la norma nel 1990, nel 1997 e nel 2020 non sono riusciti a trovare l’equilibrio ottimale tra l’esigenza di controllare l’attività della pubblica amministrazione, prevenendo o reprimendo le condotte illecite dei pubblici ufficiali, e la necessità di contenere l’ingerenza della magistratura sull’attività di funzionari e amministratori, spesso tanto pervasiva da alterare i rapporti tra i poteri dello Stato.
Il limite della riforma Nordio, però, consiste nella mancata previsione di un’alternativa all’abuso d’ufficio. E un simile rimedio non è nemmeno già previsto nel nostro ordinamento: la giustizia amministrativa viene attivata soltanto da chi si ritenga leso da un atto di un pubblico ufficiale, la Corte dei conti agisce soltanto nel caso in cui una determinata condotta si traduca in un danno per le casse dello Stato e le ipotesi di responsabilità disciplinare fatta valere dal superiore gerarchico sono statisticamente piuttosto rare. Ciò che manca al disegno di legge Nordio, dunque, è un’alternativa all’abuso d’ufficio, cioè uno strumento normativo che consenta di raggiungere l’equilibrio tra le opposte esigenze alle quale si è fatto cenno. Non si può lasciare che la magistratura “ingessi” la pubblica amministrazione in una fase in cui, tra l’altro, quest’ultima è chiamata a un super-lavoro da Pnrr. Parimenti non è ammissibile, però, una completa deregulation che rischia di spianare la strada alle malversazione commesse da funzionari e amministratori pubblici infedeli. La sfida cui saranno chiamati Nordio e il Parlamento, una volta che l’iter del disegno di legge sarà stato incardinato, è sostanzialmente questa. E bisognerà in qualche modo vincerla, in modo tale da evitare che, insieme con l’abuso d’ufficio, venga “abolito” anche quel minimo di credibilità dello Stato.
Raffaele Tovino è dg di Anap