Sta facendo riflettere la notizia del ritrovamento del corpo di un bambino neonato morto a Bari. Dalle prime ricostruzioni si apprende che il corpo del neonato è stato posto in una culla termica presso la chiesa di San Giovanni Battista, nel quartiere Poggiofranco a Bari. È stato don Antonio Ruggia a volere quella culla in uno spazio dedicato della Chiesa per consentire a tutte le mamme in difficoltà di porre il proprio neonato evitando il peggio.
La culla è collegata al numero di cellulare del parroco che prontamente viene allertato nel caso in cui un bambino viene deposto nella culla. Ma qualcosa non ha funzionato. A quanto pare il cellulare del parroco non ha funzionato e il corpo esanime del bambino è stato trovato dal titolare di un’agenzia di pompe funebri. Non è ancora chiaro se il corpo è stato posto già privo di vita o se il neonato sia morto in conseguenza all’abbandono non allertato.
Ma, al di là della dinamica dell’accaduto, ciò che colpisce di questa vicenda è la dinamica dell’abbandono. Si legge sul muro della chiesa la scritta: “Nessun bambino è un errore”. Eppure è proprio un errore che ha causato la morte del neonato. Un errore di una mamma che non voleva il proprio figlio e non era in grado di sopportare il peso di un’esistenza al suo fianco; un errore quello della macchina termica che non ha allertato prontamente il parroco evitando il peggio; un errore, eventualmente, quello della mamma che ha deposto un corpo già morto nella culla non sapendo cosa poter fare e come poter salvare quella vita umana.
La vita che improvvisamente diventa un’errore, una strategia di fuga dal quotidiano e dalle dinamiche e responsabilità a cui la vita stessa chiama ognuno di noi. In un’Europa con un tasso di natalità pari a zero e con un calo demografico spaventoso, ciò che caratterizza l’arrivo di una nuova vita non è più la gioia ma la sofferenza, la paura, l’impotenza. Nei paesi europei sembra difficile poter crescere un bambino, dargli delle condizioni di vita dignitose, consentirgli una crescita adeguata. Una nuova vita diventa un fardello da portare addosso di cui liberarsi per paura di non potercela fare, di essere sconfitti dalla vita stessa. Quindi, la via dell’abbandono appare la più corta e la più semplice e come tutte le vie brevi, in un mondo abituato alla mediocrità e alle scorciatoie, appare anche la più sensata.
Il neonato non si sa se sia morto prima o dopo l’abbandono, ma in realtà l’atto d’abbandono rappresenta di per sé un lutto, un distacco definitivo. Ogni separazione è un lutto da elaborare per l’essere umano, vi è sempre un prima e un poi che cambiano lo stato emotivo di chi lo ha vissuto. Nulla sarà più come prima dopo aver abbandonato una persona che sia un neonato o un adulto. L’atto dell’abbandono è un atto di separazione che segnerà per sempre la vita dell’abbandonante.
E, come accadde per Raskòl’nikov, protagonista di “Delitto e Castigo” di Dostoevskij, dopo aver ucciso l’usuraia, pur avendo compiuto un atto che nella sua visione appare giusto, eliminando quello che per lui appare un problema sociale, la condanna più dura che dovrà subire non sarà la prigione ma il tormento interiore.
Bentornato,
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