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La tradizione è la vera rivoluzione

Che cosa c’è dietro i riti della Settimana Santa? Alcuni li derubricheranno a mera manifestazione di fanatismo religioso; altri, sotto sai e cappucci, scorgeranno il solito tentativo di imbalsamare il passato. A ben vedere, però, i penitenti pugliesi portano con sé non solo i simboli della Passione, ma anche un valore che trascende la dimensione religiosa: quello della tradizione.

Eppure, nell’epoca che insegue la modernità a tutti i costi, che vive nel mito dell’innovazione e della transizione, che inorridisce al solo pensiero del passato, celebrare la tradizione è un gesto che sa di sfida. Quasi una rivoluzione, tanto personale quanto universale e necessaria.

La tradizione, infatti, altro non è che connessione. E coltivare riti secolari come quelli della Settimana Santa equivale a connettere esperienze e idee, valori e parole, in modo tale da colmare la distanza temporale e spaziale che ci separa da chi ci ha preceduto e alimentare la crescita della comunità.

Senza tradizione, d’altra parte, che cosa sarebbe l’Italia, luogo che vanta un patrimonio storico e artistico unico al mondo? Che cosa sarebbe la Puglia, regione che dell’autenticità ha fatto un brand riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo? Che cosa sarebbero le comunità in cui viviamo, fondate su comune sentire e memoria condivisa?

Ecco perché, nella società che pretende di liberarsi del passato, la tradizione va conservata, alimentata e perpetrata: un atto di trasgressione pura, altro che fanatismo o penitenza.

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