Per una visita specialistica si ottiene un appuntamento a distanza di diversi mesi, talvolta si arriva al 2025. Così l’intramoenia rappresenta l’unica via di accesso al servizio sanitario pubblico in tempi accettabili.
Intanto negli ospedali pugliesi registriamo i pronto soccorso che fanno fatica a gestire le richieste d’intervento da una parte, mentre dall’altra ci sono reparti dove per un ricovero bisogna attendere mesi e altri semivuoti, in alcuni casi, come quello di molti ospedali di comunità l’indice di utilizzo è inferiore al 5%. Il dato percentuale complessivo regionale dei posti letto occupato è poco più del 50% tra pubblico e privato, conferma di quanto abbiamo sostenuto nel corso di questi anni, che le difficoltà del sistema sanitario non sempre sono il numero di posti letto a disposizione, bensì vanno ricercate nell’efficienza e nell’appropriatezza della sanità come nella gestione nel suo insieme; a livello regionale e di territorio.
Certo non possiamo dimenticare le poche risorse a disposizione e la carenza di personale sanitario tra cui anche i medici di medicina generale. Criticità, quest’ultima, che rende vulnerabile tutto il sistema sanitario, condizione con la quale i pugliesi, soprattutto quelli più fragili devono fare i conti quotidianamente, vedendosi a volte costretti alla rinuncia delle cure.
Si è in attesa di conoscere, dalle direzioni Asl e dalla Regione, se esiste un monitoraggio sulla domanda potenziale di cure, sui potenziali pazienti che hanno provveduto a fare prenotazioni di prestazioni e che per diversi motivi hanno rinunciato. Tutto questo per una questione di trasparenza e programmazione delle risorse disponibili.
Dichiarazioni e impegni solenni, ma la sanità pubblica pugliese non cambia. Guardandola dalla parte dei cittadini, specie nel periodo emergenza Covid, appare essere quasi paralizzata a causa anche dalla carenza ormai insostenibile di personale. Certo riconosciamo alcuni sforzi importanti fatti in questi anni, però la verità è che la sanità pugliese sembra affossata ormai negli stessi problemi, dalle liste e tempi di attesa all’appropriatezza delle cure che inducono tanti a spostarsi fuori regione. Sono tante le segnalazioni dai territori così come quelli che denunciano casi di malasanità sui quotidiani. Per affrontare questa emergenza più che provvedimenti spot o schermaglie occorre un’azione condivisa, mettendo da parte i contrasti e riprendendo una collaborazione effettiva tra istituzioni, politica e parti sociali, a cominciare dall’attuazione del protocollo datato 2 maggio, condiviso tra Regione Puglia e sindacati confederali con le rispettive categorie dei pensionati, funzione pubblica e medici, che purtroppo per responsabilità non certo del sindacato confederale, al momento è disatteso.
Come Cisl Puglia ribadiamo che questo protocollo prevede un tavolo di monitoraggio con gli assessori e dipartimenti del Welfare e della Sanità, dirigenti delle Asl e il sindacato confederale, dove poter condividere strumenti organizzativi e finanziari necessari in termini di risorse umane, tecnologiche e amministrative; insomma partecipazione e condivisione per individuare una visione comune con un confronto regionale e territoriale.
Inoltre non ci sorprende il dato positivo di Gimbe che negli anni 2020 e 2021 vede la Puglia adempiente ai livelli essenziali di assistenza (LEA); d’altra parte la Cisl lo aveva riconosciuto dal primo momento in quegli anni, per una serie di motivi, sarà un caso ma è stato il periodo più intenso di relazioni sindacali, di incontri regionali e sui territori con le dirigenze Asl per fronteggiare al meglio l’emergenza sanitaria.
Oggi forse non si tratta tanto di varare nuove leggi, basterebbe lavorare di più insieme per rendere più efficaci processi e risorse disponibili, non limitandosi ad uno scaricabarile con le competenze nazionali, ma provando a dare risposte concrete a tutti i pugliesi che sulla sanità vogliono più fatti e meno tempi d’attesa.
Antonio Castellucci – Segretario generale Cisl Puglia