Mettiamola così: chi ritiene che l’esborso per la sicurezza sul lavoro sia soltanto una spesa e non anche un investimento, farebbe bene a riflettere.
Il tema è tornato d’attualità dopo la strage di Suviana, in provincia di Bologna, dove una centrale idroelettrica è esplosa provocando la morte di sette operai.
L’opinione pubblica e i sindacati sono tornati (giustamente) a invocare l’intervento della politica per fermare una catena di morte che comprende anche altre recenti tragedie come quella dell’Esselunga di Firenze. Ora la domanda è: a chi conviene garantire la sicurezza dei lavoratori? A questi ultimi e alle loro famiglie, non c’è dubbio. Ma anche alle aziende e all’intera collettività. E per capirlo è sufficiente fare due conti.
Su scala globale, infatti, gli incidenti sul lavoro costano circa due miliardi di euro, pari al 3.9% del pil mondiale. Nell’Unione europea, questo valore si aggira sui 475 miliardi, pari al 3.3% del pil. E in Italia? Nel nostro Paese i costi totali legati agli infortuni oscillano tra il 3.5 e addirittura il 6.3% del pil, a seconda delle diverse analisi condotte.
Se si prende come riferimento il valore più basso, frutto dell’indagine condotta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro, la scarsa sicurezza costa 45 miliardi l’anno, pari a oltre 64mila euro per ciascun occupato. E non finisce qui: secondo il dossier Eu-Osha, a pagare il costo degli infortuni è per il 67% il personale, mentre alla parte datoriale tocca il 20.
Un incidente sul lavoro, infatti, comporta per ciascuna impresa una lunga serie di costi aggiuntivi: quelli legati alle assenze per malattia, quelli per la sostituzione dei lavoratori infortunati, quelli per la mancata produzione, quelli assicurativi e infine quelli per eventuali sanzioni penali. Senza dimenticare, ovviamente, l’impatto sulla società, visto che ciascun infortunio o ciascuna morte produce effetti sulla famiglia del lavoratore interessato, sulle incombenze che gravano sui colleghi e sull’impegno delle compagnie di assicurazione: si pensi a un genitore che, dopo un incidente sul lavoro, non può prendersi cura della moglie e dei figli.
Investire in sicurezza, dunque, consente alle imprese, alle famiglie e allo Stato di risparmiare i costi diretti e indiretti di ciascun incidente. In più, permette di conseguire vantaggi in termini di produttività e competitività. All’origine degli infortuni, infatti, ci sono carenze organizzative e gestionali che, se opportunamente corrette, aumentano le performance dei lavoratori. In altre parole, ordine, pulizia, organizzazione efficiente, macchinari moderni e formazione affidata a soggetti qualificati garantiscono benefici al business dell’impresa, rivelandosi un’opportunità di crescita. Non a caso c’è chi ha definito l’esborso per la sicurezza dei lavoratori “un investimento non solo etico, ma anche pragmatico in vista del successo a lungo termine delle aziende”. Di queste indicazioni dovrebbero tenere conto non solo le imprese, ma anche la politica. Anziché rinunciare a investimenti sulla sicurezza o perdersi in proposte destinate a rimanere tali, entrambe farebbero bene a ricordare che destinare risorse a quell’ambito conviene economicamente a tutti.
Se non si vuole investire in sicurezza per proteggere i lavoratori e le loro famiglie da infortuni e morti bianche, insomma, lo si faccia almeno per risparmiare costi esorbitanti e aumentare la produttività del sistema Paese.
Raffaele Tovino è dg di Anap