La sfida della classe dirigente

Era estate, la campagna elettorale era agli albori e Franco Cardini, storico con una lunga militanza nel Movimento sociale italiano, lamentava la mancanza di una solida classe dirigente in Fratelli d’Italia, pur riconoscendo meriti e capacità a Giorgia Meloni. A distanza di qualche mese, dopo il trionfo del centrodestra, quelle perplessità non sembrano essere state dissipate. Anzi, paradossalmente, la scelta dei ministri riaccende i riflettori su una delle sfide più ardue che attendono la neo-presidente del Consiglio.

Se si analizza la composizione del governo che domani e dopodomani chiederà la fiducia ai due rami del Parlamento, non si può fare a meno di notare come ben undici componenti siano reduci dell’era berlusconiana e come Meloni abbia piazzato dei “fedelissimi” in alcuni ruoli-chiave. Qualche esempio? Adolfo Urso al Made in Italy, Guido Crosetto alla Difesa, Francesco Lollobrigida all’Agricoltura e Daniela Santanché al Turismo, senza dimenticare Alfredo Mantovano che si appresta ad assumere il delicatissimo incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lo stesso è avvenuto al Senato, dove la presidente del Consiglio ha puntato su uno dei “padri fondatori” di Fratelli d’Italia, visto che a Palazzo Madama i numeri della maggioranza sono più risicati e l’esperienza di uno come Ignazio La Russa potrebbe risultare provvidenziale nel caso in cui il quadro politico dovesse improvvisamente complicarsi.

Ora, è logico e comprensibile che un leader politico investa su persone che ritiene affidabili ed esperte. Ma può, quello della fedeltà assoluta al capo, essere l’unico criterio sulla base del quale costruire una classe dirigente? Basta la più o meno lunga militanza nel partito di maggioranza relativa o una sorta di “certificato di proprietà” a rendere un politico degno di ricoprire un incarico di governo, per di più in una fase storica ed economica particolarmente delicata? Si può immaginare una classe dirigente formata da persone sì in linea con i principi del partito, ma soprattutto competenti, esperte e strutturate?

Ecco l’ennesima sfida che attende la leader di Fratelli d’Italia (al pari dei vertici degli altri partiti) nell’immediato futuro. Meloni è stata abile nel defascistizzare il proprio percorso politico. Ci è riuscita inserendosi nel solco del conservatorismo europeo e “reclutando” esponenti politici che con passo dell’oca e saluti romani non hanno mai avuto a che fare, a cominciare da un ex socialista come Giulio Tremonti e dal leader del movimento Teocon italiano Marcello Pera. Adesso l’obiettivo della neo-presidente del Consiglio può e deve essere quello di formare un gruppo di alto profilo, nell’ambito del quale competenze e coerenza abbiano quanto meno lo stesso valore della fedeltà alla linea del partito. Altrimenti il ministero negato alla berlusconiana Ronzulli, ritenuta non sufficientemente autorevole, e la nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione, che ora fa riferimento anche al Merito, si riveleranno come l’ennesima pantomima di una classe politica che fa delle antipatie personali e del populismo spicciolo la cifra del proprio impegno.

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