Chi si aspettava di vedere rafforzata la sanità pubblica, soprattutto laddove essa è più carente e cioè al Sud, è destinato a rimanere deluso. Nel Def recentemente licenziato dal Consiglio dei ministri, si prevede infatti, nell’immediato, una riduzione della spesa per il personale sanitario seguita, nel medio-lungo periodo, da un aumento piuttosto contenuto.
Tanto che molti, anche tra i non addetti ai lavori, hanno cominciato a chiedersi: come pensa, il governo Meloni, di migliorare la qualità dell’assistenza oltre che colmare tutte le lacune che la pandemia ha impietosamente evidenziato? La domanda non è peregrina se analizziamo i numeri. Il Def parla di payback per i dispositivi medici e di incentivi per rispondere alla carenza di personale nei pronto soccorso, ma dice poco o nulla sull’operatività delle case e degli ospedali di comunità contemplati dal Pnrr.
Quest’ultimo, infatti, prevede che le Regioni realizzino 1.350 case di comunità e 400 ospedali di comunità con l’obiettivo rafforzare la medicina territoriale. In Emilia-Romagna, unica regione italiana a vantare già un certo numero di cosiddette “case della salute”, questa rete ha dimostrato di funzionare: gli accessi inappropriati al pronto soccorso sono diminuiti di oltre il 16% e i ricoveri per patologie croniche del 2,4%, mentre è aumentata del 9,5% l’assistenza medica e infermieristica a domicilio. Nelle case di comunità, però, si prevede la presenza di 7-11 infermieri, di un assistente sociale e di 5-8 unità di supporto.
Numeri simili per gli ospedali di comunità, dove dovrebbero lavorare tra 7 e 9 infermieri, un medico e un paio di unità di altro personale sanitario. Insomma, per conseguire i risultati già registrati in Emilia-Romagna servirebbe un “esercito” di nuovi medici e infermieri. E invece il governo Meloni che cosa fa? Nel Def ipotizza una riduzione della spesa per il personale sanitario al 6,2% del pil nel 2025 e un aumento al 7% tra il 2040 e il 2050. Proprio così. Il rischio, però, è che senza quell’esercito di medici e infermieri che appare già da tempo indispensabile, la “guerra” per il miglioramento dell’assistenza territoriale sia destinata a essere persa. Guardiamo in casa nostra: nella sola Asl di Bari, fino a poche settimane fa, risultavano non coperti 19 posti di assistenza primaria del 2022, ai quali se ne aggiungeranno altri nel 50 nel 2023, con la conseguenza che mancano all’appello ben 69 medici di famiglia.
Non va meglio per i medici ospedalieri: secondo la Cgil, che poche settimane fa è scesa in piazza per protestare proprio contro le inefficienze della sanità locale, ne mancano all’appello addirittura 3mila in tutta la Puglia. In definitiva, ci sono edifici da costruire e nuovi servizi da strutturare, ma Palazzo Chigi sembra non avere le idee troppo chiare su come intende animare quegli stessi edifici e quegli stessi luoghi. Poco dice sulle risorse disponibili per assumere il personale, ma ancora meno parla di specializzazioni, formazione universitaria e programmazione delle figure professionali indispensabili per rivoluzionare la società e magari correggere le antiche sperequazioni che, anche sotto il profilo dell’assistenza, ha contrapposto regioni di serie A e di serie B. Sul personale servono scelte e strategie chiare. Altrimenti il Paese dimostrerà di aver capito poco o nulla della dura lezione impartita dal Covid.
Raffaele Tovino è dg di Anpal
Bentornato,
Registratiaccedi al tuo account
Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!