La retorica che fa male all’industria

La vicenda dell’ex Ilva di Taranto torna drammaticamente a riproporre il tema di una politica industriale in Italia. La rottura tra Governo e Mittal apre un altro periodo di incertezza che porterà probabilmente a un lungo contenzioso.

La vicenda avrà ripercussioni anche sulla tenuta del Governo che in tema di politica industriale sembra essere diviso tra due anime inconciliabili: la tradizionale posizione liberista, che fa riferimento al ministro Fitto e vorrebbe dare spazio ai privati, e la nuova posizione statalista, che si identifica nel ministro Urso. Ed è proprio la posizione di Urso alla base della proposta presentata a Mittal.

Di fatto Urso propone per la politica industriale italiana il modello Iri, cioè imprese sotto controllo pubblico che operano sul mercato, nazionale e internazionale, in concorrenza con imprese private: un modello che favorì lo sviluppo economico italiano nel dopoguerra, ma esaurì la sua forza alla fine degli anni Settanta.

Il nuovo modello Iri, basato sulla partecipata pubblica Invitalia, dovrebbe essere limitato alle imprese che operano in settori strategici come quello dell’acciaio, materia prima che definisce l’indipendenza industriale di un Paese. E da anni l’Italia rischia di perdere ciò che resta della sua indipendenza industriale, rinunciando alla produzione di acciaio. Delle grandi acciaierie, come furono i complessi di Bagnoli e Piombino, resta solo Taranto. È quindi necessario difendere quel presidio produttivo, ma con realismo. Non si può pretendere di mantenere il controllo pubblico di imprese italiane e chiedere a capitalisti stranieri di investire rinunciando al potere decisionale. Non è questa la logica delle multinazionali.

Per garantire un completo controllo nazionale occorrerebbero investitori italiani, ma il capitalismo nostrano non è in grado di investire nella grande industria. Anzi, il capitalismo italiano delle piccole e medie imprese, che dà all’Italia il ruolo di secondo Paese manifatturiero d’Europa, ha una posizione subalterna ed è divenuto componente complementare dell’industria tedesca e francese. Il poco che resta di autonomia produttiva italiana è rappresentato da Leonardo, Eni e acciaierie tarantine. Senza un’analisi realistica della condizione del capitalismo italiano, la posizione di Urso resta pura ideologia e retorica. Si discute spesso se questo governo raccolga o meno l’eredità del fascismo. Di certo ne ha raccolto la retorica come velo per nascondere i difetti cronici di una nazione, i privilegi e il diffuso egoismo delle sue classi dirigenti.

Rosario Patalano – Economista

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