Giusto ad evitare equivoci, diciamolo da subito, non appartengo alla schiera di quanti ambiscono a baciare il culo di Donald Trump. Anzi, ogni qual volta il Presidente degli Stati Uniti apre la bocca per esprimere un qualche pallido concetto, sono assalito da un tal disgusto che faccio fatica, persino, a catalogarlo. Mi piace pensare che il sommo poeta lo avrebbe collocato nell’ottavo canto dell’Inferno, quello degli iracondi e degli accidiosi, sicuramente insieme al suo laido sodale, Bibi Netanyahu.
Ebbene, mentre tutti sono preoccupati per quello che accadrà rispetto a questa annunciata campagna dei dazi, io sono preoccupato per la crociata che il Trumpino ha lanciato contro le più prestigiose Università americane. Il motivo è molto semplice e, per altro si è già notato, visti i numerosi ‘stop and go’ ai quali abbiamo assistito: è accaduto, come era prevedibile, che i dazi si ritorcessero contro gli americani e, sopratutto contro la banda di miliardari che hanno finanziato la campagna elettorale di Trumpino. Le borse hanno bruciato miliardi di danaro e per evitare conseguenze disastrose alla poco salubre economia americana, hanno rinviato di novanta giorni, l’inizio di questo folle programma.
Novanta giorni, nella frenetica era del nostro esasperato consumismo, sono un tempo normale nel quale si riesce a buttare nel dimenticatoio tutto; anche le idiozie di Donald Trump.
E vedrete che sarà così; se si esclude il confronto con la Cina, dei dazi non credo se ne parlerà ancora, se non per annunciare che tutto è cambiato, ma tutto sarà rimasto come prima. Per le Università, invece, il discorso è diverso e rimanda a film già visti in altre epoche, in altri luoghi ma con lo stesso preciso fine: zittire il dissenso. Ammutolirlo. Annientarlo. Ucciderlo se necessario. È la politica dei regimi; ce lo ha insegnato la storia e noi dovremmo serbarne memoria: i roghi dei libri, la mordacchia ai dissidenti, l’esilio degli intellettuali, il controllo di programmi e scritti, la morte dei recalcitranti.
Di questo meraviglioso programma, Trumpino metta in scena solo la prima parte; toglie o blocca i soldi a quelle Università che reputa contrarie alle sue idee e che bolla come comuniste: Princeton, Harvard, Columbia, cito le più prestigiose ma l’elenco è lungo. E ricatta: per liberare i finanziamenti chiede il controllo sui programmi accademici, sull’ammissione degli studenti, modifiche alle ‘governance’ e alle pratiche di assunzione delle Università. La risposta di Alan Garber, Presidente della Harvard University, ha fatto scalpore: “Nessun Governo, indipendentemente dal partito al potere, può dettare cosa le università private possono insegnare, chi possono ammettere o assumere e quali aree di ricerca e di studio possono perseguire.”
La ritorsione è stata immediata: la Segretaria della Sicurezza Nazionale, Kristi Noem, trumpiana di ferro, ha cancellato i programmi di collaborazione con la Harvard University per 3 milioni di dollari e ha intimato, pena la non ammissibilità di studenti stranieri, di fornire dettagliate informazioni sugli iscritti che hanno preso parte alle manifestazioni di protesta contro la guerra a Gaza. Fantastico. Una volta schedati potranno essere inviati nei campi di concentramento di Sabra e Shatila. Mi sono portato avanti, questa sarebbe la seconda parte del programma. Pensate sia tutto? Vi sbagliate. La guerra è aperta e le università vanno messe in ginocchio. Se non bastasse, sono pronti a modificare il regime fiscale che assicura le esenzioni alle università in quanto istituti di educazione superiore. Trumpino scrive sul suo social ‘Truth’: “Forse Harvard dovrebbe perdere le sue esenzioni ed essere tassata come un’entità politica.” Ecco cosa sta succedendo nella meravigliosa parodia della democrazia degli Usa.
Giorgia Meloni è andata a fargli visita fra il compiaciuto e il vuoto pneumatico di idee e proposte da avanzare. Considerando le affinità elettive, speriamo almeno che non abbia imparato la lezione americana.
Bentornato,
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