Da Poppea a Messalina, due delle tre mogli dell’imperatore Nerone, per affermare che dopo 2mila e passa anni, non c’è nulla di nuovo sotto il cielo. Per meglio comprendere l’intrigo Sangiuliano-Boccia, sarebbe bene leggere il libro dello storico Dimitri Landeschi dal titolo “Sesso e potere nella Roma imperiale”. Infatti, sin dai tempi dei Romani, la storia del nostro Paese è sempre passata attraversando giacigli di altolocati palazzi.
Ma veniamo all’oggi. Fonti autorevoli del Senato segnalano che questa vicenda è molto più ingarbugliata di quanto non appaia. Pare che ci si stia accanendo sul “letto sbagliato” e che i mali che l’odiosa storia sta scatenando derivino da ben altro “autorevole talamo”. E qui mi taccio, per non alimentare la linea rosa che non appartiene alla mia cultura. Affrontiamo, invece, quello che i mezzi di comunicazione assuefatti al potere fanno finta di non vedere.
Parliamo della miserevole classe dirigente del nostro Paese. Lo ha già fatto, dalle colonne di questo giornale, il direttore Viggiano in un efficacissimo editoriale con il quale si chiede alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, quanto tempo dobbiamo ancora attendere affinché ci si liberi dei “cretini” che albergano nel Palazzo. L’augurio è che la presidente non risponda come De Gaulle. Al sostenitore che suggeriva «morte ai cretini», il generale replicò: «Caro amico, il suo programma è troppo ambizioso». Perché, data la mole di “cretini” che frequentano certi Palazzi, la risposta sarebbe pertinente. Ancora, presidente, quando vogliamo cominciare a selezionare i migliori, dando spazio a scelte meritocratiche da sempre soccombenti a favore degli amici degli amici?
Aprescindere dai nomi che, a diverso titolo, creano imbarazzo all’interno del suo Governo, c’è una questione ben più grave sulla quale non sarebbe male intervenire: la moltitudine di donne e uomini che, ora come segretari del piffero, ora come consulenti della luna, occupano posti, percepiscono compensi e sgomitano per affermare che uno è più “parente” dell’altro.
A tal proposito suggerirei di leggere “The moral basis of a backward society” di Banfield, studio del 1958 realizzato in un paesotto lucano, che tratta l’odioso problema del familismo amorale. Malattia delle istituzioni della quale, ogni giorno di più, il suo governo sembra essere pervaso. Come fa a essere credibile un ministro che, incidentalmente è anche suo cognato, se per fare funzionare il Ministero ha bisogno dell’esiguo numero di 122 – centoventidue! – fra consiglieri e consulenti? Si occupano del ministro in tutto e per tutto, dall’agenda agli appuntamenti, dai discorsi all’insegnamento della lingua inglese, dalla toilettatura alle scarpe, all’internazionalizzazione, al Mediterraneo, alla siccità, al buco nell’ozono fino a quello che maggiormente mi ha incuriosito: il “bostrico”.
Stranamente la maggior parte di questa genia sono donne e, leggendone i curricula, mi torna in mente il mio primo giorno da senatore. Ricordo che sono passate nel mio ufficio decine di signorine in cerca di contratto, accomunate da una certa avvenenza e tacco 12. I curricula degli uomini non erano migliori. Anzi. Qualcuno non ce lo aveva neppure: trattavasi del trombato di turno che, non avendo un mestiere, bussava a quelle porte con le quali aveva familiarità. Infine, presidente Meloni, dovrebbe preoccuparsi di quel 55% di elettori che non vota. Si è mai chiesta perché, a ogni elezione, questo numero cresce? Provo a dirglielo. Gli italiani hanno capito che, in politica, cambiando gli addendi il risultato non cambia. Nella gestione del potere, destra e sinistra sono uguali. Bene, il suo Governo sta avvalorando questa tesi. Anche in peggio, se è possibile.
Bentornato,
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