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La nuova Repubblica

Il Mattarella bis è come quando si andava da Blockbuster: si passavano le ore tra gli scaffali, e alla fine si sceglieva il solito Tarantino. Che poi, io, in un Blockbuster ci sono a malapena entrata, come a malapena ricordo un’epoca politica in cui il Movimento 5 Stelle non esisteva e la Lega era al 3%. Il Parlamento che ha votato per il Mattarella 2 è, di fatto, un Parlamento gialloverde. E per quanto le due parti non sembrassero amarsi più dopo il primo tentato matrimonio, questi sei (folli, a volte lentissimi, a volte velocissimi) giorni quirinalizi hanno visto i gialli e i verdi essere molto più in linea tra loro degli altri. Non solo nei patti stretti di nascosto tra i leader, ma anche nelle chiacchiere fatte davanti all’entrata principale di Montecitorio.

E allora più che chiedersi se fare un rimpasto di governo, forse Salvini dovrebbe chiedersi con chi proseguire la sua corsa verso il 2023. E con lui, tutti i partiti di questa legislatura “così debole che rischia di votare Mattarella per sbaglio”, si diceva malignamente ieri.
Come potrà il tranquillo e silente Enrico Letta fidarsi ancora di Giuseppe Conte dopo tutti i tiri di questi giorni, primo fra tutti l’annuncio non concordato su Elisabetta Belloni? E pensare a quanta fatica ha fatto il Pd a convincere i suoi della necessità di fidanzarsi con i grillini. Matteo Renzi si è preso il palcoscenico, e può diventare il leader di un centro moderato con Cambiamo, Azione, e chissà, magari Forza Italia. Giorgia Meloni, dal canto suo, non ha bisogno di nessuno. Il bipolarismo è morto da tempo. E le coalizioni?

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