Il dibattito sulla manovra finanziaria riapre la solita riflessione sui conti del Paese, in particolare sulla necessità di aumentare le entrate e di ridurre la spesa pubblica improduttiva, senza però far mancare il sostegno agli investimenti strategici per l’Italia e per il Sud. Ecco, appunto: gli investimenti.
Su che cosa deve investire un Paese che invecchia inesorabilmente, lascia andare i propri giovani, non consente a troppe donne di conciliare professione e famiglia e si regge sostanzialmente sul lavoro povero? La risposta è: un nuovo contratto sociale che miri alla riduzione dei divari sociali e di genere, come Alessandro Rosina ha opportunamente osservato dalle colonne del Sole 24 Ore. Questa necessità è tutta nei numeri.
Partiamo dalla situazione demografica ormai compromessa, soprattutto nelle aree interne del Mezzogiorno, a causa di bassa natalità e giovani in fuga. Basti pensare che, dal 2002 al 2021, hanno lasciato il Sud oltre due milioni e mezzo di persone, nell’81% dei casi verso il Centro-Nord.
Al netto dei rientri, lo stesso Sud ha perso un milione e 100mila residenti e questo valore rischia di raggiungere addirittura gli otto milioni di qui al 2080. Vuol dire che il Paese, a cominciare dalla sua parte meridionale, è in transizione verso la cosiddetta società della longevità, in cui la popolazione diminuisce sempre più velocemente determinando squilibri interni che solo in minima parte possono essere compensati dall’immigrazione.
Ad aggravare lo scenario c’è la situazione delle donne, specialmente sotto l’aspetto lavorativo. Le regioni meridionali occupano le ultime posizioni nella classifica europea per tasso di occupazione femminile: circa sette donne su dieci non lavorano. Se nel Centro-Nord lavora circa il 62% delle donne, questa quota diminuisce fino al 31% in alcune località meridionali. Ciò accade innanzitutto per la mancanza di servizi come gli asili nido, fondamentali per consentire al “gentil sesso” di conciliare i tempi di professione e famiglia, e fa sì che molte giovani coppie ritardino o rinuncino definitivamente a un figlio, trascinando il Paese al di sotto del livello di rimpiazzo generazionale.
Ecco perché è indispensabile un nuovo contratto sociale che preveda investimenti su due punti chiave: da una parte, qualità della formazione e del lavoro; dall’altra, strumenti per conciliare professione e percorsi di vita. Per l’Italia, in particolare per il Mezzogiorno, non c’è un investimento più importante. Perché è soltanto in questo modo che si mettono i giovani in condizione di avere figli, si riducono i divari di genere e generazionali e si migliora anche la cosiddetta immigrazione da domanda, visto che i contesti più attrattivi sono pur sempre quelli che offrono solide opportunità di crescita a donne e ragazzi a prescindere dalla loro provenienza sociale e territoriale. La necessità di un nuovo contratto sociale è fin troppo evidente. E va ricordata a una classe politica che ormai da svariati decenni dimostra di navigare a vista, inseguendo soltanto l’immediato riscontro elettorale in termini di consenso, e di non avere una visione, indispensabile per trascinare il Paese fuori dalle secche delle disuguaglianze, della povertà e della sfiducia in cui è finito. La prossima manovra finanziaria non risolverà i problemi che abbiamo evidenziato, ma potrebbe e dovrebbe almeno porre le basi per quel nuovo patto che all’Italia serve come il pane