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Cari partiti, la melina sulle candidature scatenerà l’ennesima fuga dalle urne

Quest’anno si rinnovano molti Consigli regionali e conseguentemente le Giunte, coi rispettivi presidenti. Intanto due elezioni sono stare già celebrate, perché ormai il calendario con le relative scadenze assomiglia a quello delle partite di calcio, che non si giocano più solo la domenica, per di più col “fischio di inizio” fissato sui diversi campi alla stessa ora. Pertanto si è già votato anticipatamente in Emilia-Romagna, per essere il presidente Stefano Bonaccini passato al Parlamento europeo, e in Liguria, dove il suo omologo Giovanni Toti era stato “disarcionato” da un’inchiesta giudiziaria e si era poi dimesso.

Restano la Valle d’Aosta, a statuto speciale, e cinque Regioni a statuto ordinario: Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia. Alla fine saranno andati alle urne più di venti milioni di Italiani (potenzialmente, perché la disaffezione alla partecipazione continua a crescere e i seggi a languire, non solo ai referendum abrogativi). Un bel tagliando di metà legislatura – quasi un’elezione di mezzo termine, come quella del Congresso statunitense, sommando il complesso degli aventi diritto e scendendo per noi di scala – per testare lo stato di salute delle opposte coalizioni e uno sprone a entrambe le parti per ritrovare una coesione oggi palesemente infragilita da polemiche interne a ciascuna.

Ricorderete che l’ultima volta il rinvio dalla primavera all’autunno era stato imposto dal Covid, ora pare che il Governo immagini un rinvio alla primavera prossima, in un unico election day, ma per questo occorrerebbe un decreto-legge concordato tra tutti i “giocatori”. Negli ultimi giorni è tornata fra i piedi la questione del terzo mandato ai presidenti di Regione, pur dopo che una sentenza della Corte Costituzionale aveva ritenuto costituzionalmente legittimo il suo divieto. La Lega non demordeva e ne ha riproposto la praticabilità, anche se forse solo per marcare il punto e trattare con gli alleati, perché tenere Luca Zaia ancora a Venezia converrebbe a Matteo Salvini per più ragioni, mentre Vincenzo De Luca a Napoli è stato uno spettatore non certo disinteressato. La questione si è chiusa, negativamente per la Lega, nelle scorse ore. Tutto è stato deciso da parecchio invece nel centrosinistra pugliese, dove non è certo una voce fresca di giornata che Antonio Decaro abbia già pronto il biglietto per l’aeroporto di Bari-Palese, al fine di lasciare Bruxelles e candidarsi al vertice dell’esecutivo nella terra natale, mentre Michele Emiliano ha annunciato di puntare al Consiglio (con quanta gioia del compagno di partito, che si sentirebbe il suo fiato sempre sul collo, è facile immaginare), anche se adesso lo distrae anche un fronte molto privato di impegno, del quale si è avuta solo da poco notizia.

Il punto, però, non è quello delle manovre degli stati maggiori dei partiti, che hanno le liste degli eleggibili preferiti già nella manica della giacca dei segretari e delle segretarie e che alla fine troveranno una soluzione transattiva dei loro rapporti, com’è sempre accaduto, ma il disorientamento dei cittadini. Siamo ormai in estate, “fugit hora” e l’autunno (la stagione prevista appunto per le prossime messi elettorali, se non accadrà qualche imprevedibile novità) è alle porte: «Già lo sentimmo venire nel vento d’agosto/nelle piogge di settembre torrenziali e piangenti», come poetava Vincenzo Cardarelli. Di grazia, dateci il tempo per conoscere programmi e candidati e metabolizzare le diverse proposte, o non lamentatevi se alla fine la schiera degli astenuti si infittirà ancora di più.

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