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La lezione dell’ex ministro

L’espressione paciosa di Raffaele Fitto non deve trarre in inganno. Perché dietro quel sorriso mite e un po’ sornione si celano anni di studio e di calvario. Di studio, perché il nuovo vicepresidente esecutivo della Commissione europea si è guadagnato il titolo di “uomo dei dossier” proprio per la sua capacità di approfondire le questioni e analizzare gli scenari.

Di calvario, perché 17 dei circa 40 anni di impegno politico Fitto li ha trascorsi a difendersi dalle accuse lunari della magistratura e dagli strali degli avversari politici (molti dei quali sono oggi suoi compagni di partito e sgomitano per farsi fotografare al suo fianco). Non bisogna dimenticare, infatti, da dove viene l’ormai ex ministro del governo Meloni.

Nel 2006, quando aveva da poco concluso la sua esperienza da presidente della Regione Puglia, Fitto finì al centro di un’inchiesta per corruzione. I pm parlarono di «straordinaria capacità di delinquere», ipotizzando l’esistenza di una «cupola» e di «un giro di malaffare superiore a quello dei pizzini di Provenzano».

Nichi Vendola, suo successore, gli chiese conto della «gestione moralmente discutibile» dell’ente. Tutte quelle accuse e illazioni si sono sgretolate nell’arco di 17 anni di calvario giudiziario, mediatico e politico.

Nel frattempo Fitto non solo ha continuato a studiare, ma ha anche ampliato i propri orizzonti politici fino a diventare un punto di riferimento del conservatorismo europeo e uno dei leader più autorevoli nel continente. Ecco perché la sua nomina, dunque, una lezione di resilienza e abnegazione: le stesse che dovrà dimostrare alla guida di un’Europa chiamata ad affrontare una serie di sfide cruciali.

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