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La “lezione” delle elezioni d’Oltralpe

Ha vinto Macron o ha perso la Le Pen? Ossia i francesi hanno scelto il modello Macron o si sono turati il naso – azione di montanelliana memoria – per non ritrovarsi una presidente che pur avendo mielato i toni (rispetto a un passato neppure tanto lontano) rimane la lady fondamentalista della destra francese? E perché quel risultato è stato guardato dall’Italia come particolarmente significativo anche per i destini dell’italico suolo? Insomma il ballottaggio Macron-Le Pen ha lasciato una serie di punti interrogativi aperti che visti dal Sud del mondo, anzi dal lembo d’Italia che si chiama Puglia, sembrano essere lontani anni luce dalle urgenze che premono le tante quotidianità, da quelle economiche, a quelle sociali, a quelle – purtroppo – immancabili di tipo sanitario. Se stessimo al sentimento popolare – sappiamo bene che le macro questioni sono vissute con fastidio in quanto non impattanti a breve termine (la contaminazione della cultura e della comunicazione dovuta alla tecnologia induce a ragionare con fatica già sul medio periodo) sull’organizzazione sociale -il confronto tra i due d’Oltralpe sarebbe semplicemente affaire dei francesi. E, a dire il vero, tale atteggiamento/sentimento non è circoscritto a ciò che è fuori dai confini nazionali, anzi.

Scontato che il destino politico dei singoli Paesi europei abbia un peso riverberante su tutta l’Unione e sul suo destino che – avversato dalla destra conservatrice, Regno Unito docet – rimane un punto saldo per mettere in “rete” Paesi diversamente troppo fragili per affrontare un mercato globalizzato. Così la vittoria di Macron è celebrata come quella in cui ha tenuto l’idea dell’Europa unita.
E intanto mamma Europa “allatta” i suoi figli con fondi importanti (Pnrr è solo una misura straordinaria che accompagna quelle strutturali), purtroppo non spesi interamente, ma questa è un’altra storia dalla quale emergono le debolezze dell’apparato burocratico nella capacità di spesa.
Cosa ha significato per la politica di casa nostra, dal suolo italico a quello pugliese, la vittoria dell’ormai ex enfant prodige sulla lady che ha anche “sacrificato” suo padre per darsi un tono da statista? Certamente se Le Pen avesse vinto o almeno perso con una batosta meno severa: differenza percentuale tra i due di 17 punti che pesano 5,4 milioni di voti, Meloni e Salvini avrebbero potuto battere il tasto che il tempo per la destra al governo, anche in Italia, è maturo con ipoteca su una Puglia senza il centrosinistra e senza Emiliano. Argomento da marketing elettorale, ovviamente, perché i parallelismi tout court non sono mai perfettamente assimilabili, ma tant’è la politica – fatto arcinoto – viaggia sulla affabulazione spinta.
Deprivati della vittoria della Le Pen: Salvini e Meloni, ma il duello francese ha sancito – una volta di più – la frattura nel centrodestra con un Berlusconi che veleggia, forse convintamente, sulla scia di Draghi e dell’Europa. Il significato delle presidenziali francesi, per l’Italia sta – dunque – nella distanza che ha determinato nel triumvirato Meloni-Salvini-Berlusconi elencati con l’ordine dei rapporti di forza attuali, stando ai sondaggisti. Ed è a questa frattura che il centrosinistra guarda perché spunterebbe le chance di affermazione della destra al governo dopo le prossime politiche.
Ma il dato più inquietante è tutto nel turarsi il naso votando il meno peggio, mestiere molto praticato in Italia, quando non si decide di scansarsi scegliendo l’astensione. La possibilità che offre la politica è solo questa? In uno scenario in cui la politica non è più capace di formare una classe dirigente, le agenzie di formazione: scuola e università in primis fanno sempre più fatica ad assolvere il loro compito di promuovere la crescita di cittadini e cittadine consapevoli, la percezione netta è di trovarsi in un collo di bottiglia che solo rompendolo può liberare energie positive.

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