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La legge elettorale che punisce chi vota e premia l’astensione

La legge elettorale che ha portato anche in questa tornata a comporre la rappresentanza del consiglio regionale pugliese, dopo la prova disastrosa di cinque anni fa, è un labirinto di errori e incongruenze che ne fanno uno dei peggiori esempi in Italia per l’altissimo tasso di alterazione della rappresentanza politica.

Intanto per uno sbarramento ingiustificato, al 4%, che tende a ridurre in modo improprio il pluralismo delle voci a favore delle liste maggiori. Infatti se si pensa che a livello parlamentare, dove, almeno per il momento, non esiste quella specie di presidenzialismo surrettizio che abbiamo nelle regioni e che attribuisce a priori una maggioranza alla lista o alle liste coalizzate a sostegno del candidato presidente che raccoglie un voto più degli altri, lo sbarramento è al 3%, come, del resto, anche nei Comuni, si comprende quanto strana possa apparire una legge che tende a soffocare il pluralismo delle le voci del territorio. Ma la cosa che grida vendetta nel nome della ragione è la modalità con cui si calcola il riparto dei seggi.

La logica sarebbe fare come si fa nei comuni: per attribuire i seggi ad ogni lista si calcola la sommatoria dei voti raccolti da tutte le liste e si ricava così la percentuale di ognuna rapportandola con quella somma. Insomma : se una lista raccoglie il 4% vorrà dire che quel valore si definisce in rapporto al totale dei voti di lista nel territorio. Nella regione Puglia però non va così: bisogna aggiungere ai voti di tutte le liste anche quelle raccolti dai presidenti.

Qual è la logica? È un mistero doloroso che non trova risposta nel conto dei voti validi: è solo una bizzarria capitata lì per errore da un copia e incolla da qualche altra legge elettorale in vigore, magari saltando un capoverso. Il risultato è che liste che hanno superato col criterio “normale” il quattro per cento, si vedono retrocesse perché la loro percentuale dovrà anche caricarsi dei voti dei candidati presidenti.

Nel 2020 è accaduto per la lista “Senso Civico”, retrocessa dal 4,2 al 3,86. Questa volta, per quel che ho potuto vedere, almeno due liste sono cadute in questa trappola facendo vittime illustri come l’ex presidente Vendola. Al nuovo presidente Decaro, che conosce la politica e il significato della rappresentanza, suggerirei di prendere in carico subito il dossier legge elettorale per correggere le vistose aporie, perché se lo fa all’inizio della legislatura può essere che una legge venga approvata ma, se prende il sopravvento la routine non si farà più.

Comunque prevedo un grande lavoro per gli avvocati, per il TAR e poi per la Cassazione per un contenzioso inevitabile. Anche perché la diserzione delle urne, che è davvero diventata preoccupante (chi vince, anche se con risultati assolutamente indiscutibili, rischia di rappresentare soltanto poco più di un quarto della popolazione), impone l’adozione di strumenti che puntino ad incoraggiare la partecipazione e non ad escludere.

Peraltro un effetto collaterale di questa bizzarra legge elettorale è lo squilibrio delle soglie d’ingresso degli eletti, con oscillazioni del consenso necessario che variano da tre-quattromila voti a sei-sette volte tanto. Certo, la grandezza delle circoscrizioni, la partecipazione dei votanti, la differenza tra i partiti sono elementi che possono mutare sensibilmente il livello delle soglie. Ma stavolta si è andati proprio oltre la misura usuale, per cui il disorientamento degli elettori sul voto rivelatosi “non utile” nonostante il suffragio importante conseguito dal candidato, può diventare un nuovo incentivo a non votare».

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