Una nuova Casmez per il Mezzogiorno? Proseguendo il ciclo di articoli su questa questione (questo è il terzo, i precedenti sono apparsi su questo giornale il 3 settembre e il 17 settembre), mi fa piacere ricordare, al solito, che ovviamente una riproposizione pura e semplice di uno strumento pensato (e funzionante bene, almeno per i primi 20 anni) istituito nell’ormai lontano 1950, non è ragionevole. E tuttavia, un’attenzione particolare al Mezzogiorno, una riproposizione della questione meridionale come grande questione nazionale, che, risolta, aiuterebbe l’intero Paese, va prevista e attuata. Certo, i venti di “secessione dei ricchi”, la malcelata secessione sotto forma di devoluzione di materie (e soldi) dallo Stato alle Regioni, richiesta da quasi tutte le regioni del Nord, non va proprio in questa direzione.
Se alle Regioni più ricche e che contribuiscono in misura maggiore alla fiscalità generale nazionale andasse tutto o quasi il gettito colà raccolto, cifre enormi sarebbero sottratte agli altri territori. Si verrebbe a scardinare il principio di uguaglianza di diritti dei cittadini, dovunque nascano o vivano all’interno della Repubblica. E poi, chi impedirebbe, ragionando in tal balordo e scellerato modo, che Milano poi non chieda di trattenere per sé le tasse raccolte nel Comune, e non che siano devolute per finanziare servizi per la più povera Pavia? O, ancora, perché i cittadini di via Montenapoleone (strada “ricca” milanese) con le loro alte tasse dovrebbero finanziare infrastrutture e servizi nel disagiato, periferico e “povero” quartiere di Quarto Oggiaro? Capite, si arriverebbe a una situazione impossibile e insostenibile.
Durante i due governi Conte I e Conte II, e poi Draghi, di autonomia si è sempre continuato a parlare (cambiavano i ministri, nel frattempo), ma non si è approdati a nulla. Ora lo scenario è cambiato. La vittoria delle destre ha prepotentemente riportato l’autonomia differenziata al centro dell’azione politica della Lega; a luglio 2024 è stata approvata la cosiddetta legge Calderoli, che norma le richieste/concessioni di autonomia differenziata. E le Regioni richiedenti e il Governo corrono ad attuarne le disposizioni, per dare immediatamente “autonomia differenziata” a chi l’ha chiesta.
Vorrei notare che a una maggiore autonomia non corrisponde una maggiore responsabilità fiscale, cioè è sempre lo Stato a “mettere le tasse”, tanto per parlar chiaro, e poi trasferisce i soldi. La Regione non si prende quindi nessuna responsabilità impositiva. Vorrei, ancora, sottolineare altri due aspetti: effetto dell’autonomia differenziata sugli squilibri territoriali; effetto dell’autonomia differenziata sulle politiche pubbliche nazionali/locali. Quand’anche ci fossero equità ed equilibrio territoriale senza grosse differenze (e ovviamente purtroppo non è così) le scelte di autonomia differenziata non sarebbero utili e giuste. Infatti, le richieste di autonomia riguardano talmente numerose materie e sono talmente pervasive da provocare in ogni caso una inaccettabile frammentazione delle politiche pubbliche. Quali conseguenze avrebbe la competenza regionale in materie come le grandi reti nazionali di trasporto e navigazione? Oppure produzione e trasporto di energia? In quest’ultimo caso, le ultime vicende internazionali (aumento del costo del gas, guerra e così via) spingono a pensare a una dimensione sovranazionale, europea per lo meno, altro che ridursi a un’asfittica visione regionale italiana!
Ma, in definitiva, che cosa chiedono le Regioni secessioniste? Solo alcuni esempi: acquisizione della rete ferroviaria e autostradale al demanio regionale; approvazione delle infrastrutture strategiche di competenza statale che interessano il territorio regionale; le competenze statali in materia di immigrazione; addirittura, per chiudere, l’equivalenza terapeutica dei farmaci: immaginate 20 piccole Agenzie italiane del farmaco, una per Regione, con norme e regole diverse per i farmaci! Un delirio! Eppure, Calderoli (o Zaia o Fontana) afferma che l’autonomia significa «semplificare» e «migliorare» la vita dei cittadini.
Infine, nessuno ha mai posto e approfondito la questione: come si giustifica l’esistenza di richieste del genere? Si parla, in maniera generica, di «attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia in forza di specificità proprie della regione e funzionali alla sua crescita e sviluppo».
E basta! Dovrebbe invece essere messo nero su bianco che le richieste devono essere accompagnate da specifiche e dettagliate motivazioni, caso per caso, riferibili in maniera esplicita e riscontrabile a particolarità e peculiarità della Regione richiedente.
Bentornato,
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