La doppia faccia dello sviluppo

Cosa c’è di vero sulla individuazione ed eventuale riapertura dei siti minerari dismessi o abbandonati? È solo retorica e propaganda? Un nuovo modello autarchico nostalgico – di vecchia ispirazione – dovuto a una necessità economica-imprenditoriale per l’Europa? Per fare la transizione energetica e digitale senza dipendere troppo dall’estero (specie dalla Cina), l’Italia deve riaprire le miniere. È questo l’indirizzo che arriva dall’Ue, che ha individuato 34 materie prime critiche per la transizione verde e digitale, e ha previsto che i singoli Stati facciano una ricognizione dei loro giacimenti e avviino le estrazioni possibili.

I siti minerari abbandonati di potenziale interesse sono sparsi lungo tutta la penisola. Secondo un rapporto dell’Ispra, al 2006 le miniere dismesse erano 2.990 in Italia. Ma al 2019, solo 94 hanno una concessione ancora in vigore e 76 sono i siti che risultano in produzione al 2020. 562 siti minerari dismessi o abbandonati presentano un grado di rischio ecologico-sanitario da medio ad alto. Di questi quasi 100 siti minerari, solo alcuni riguardano materie prime critiche.

A fare gola in Puglia sono i giacimenti di bauxite, già inseriti nell’elenco predisposto dal Mimit. Vecchi siti abbandonati da tempo che potrebbero tornare utili, ma con quali costi per l’ambiente e un territorio vocato all’attrazione naturalistica? Insomma, l’autarchia potrebbe fare bene all’economia italiana ma impattare, con danni non calcolabili, su quella pugliese.

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