Se oggi, nel tempo della crisi delle ideologie e del disilluso pragmatismo imperante, c’è ancora un discrimine tra destra e sinistra, questo attiene certamente al modo in cui è intesa la povertà.
Per la destra la condizione di povertà e di emarginazione sociale è un colpa attribuibile interamente all’individuo che non è stato capace di sfruttare a suo vantaggio le opportunità offerte dal mercato e dalla libera iniziativa; per la sinistra il povero è una vittima dell’economia di mercato che non è in grado di offrire le stesse opportunità a tutti perché le condizioni sociali di partenza (in termini di ricchezza e livello di istruzione) sono molto diverse. Nel marasma post ideologico, almeno questi sembrano essere due punti fermi di discrimine.
Se questo è il quadro, è assolutamente coerente con un approccio di destra il sussidio previsto dal governo per le famiglie povere, che consiste in una carta prepagata, chiamata “dedicata a te”, con una dotazione di 385 euro (nel 2023, aumentate a 500 euro nel 2024), destinate alle famiglie con ISEE inferiore a 15.000 euro annui. La carta appartiene ai sussidi cosiddetti in-kind transfer, cioè trasferimenti diretti di beni e servizi, senza mediazione del denaro: infatti, la dotazione è destinata all’acquisto di generi alimentari di prima necessità (23 voci), carburanti, abbonamenti del trasporto pubblico locale. Il minimo per la sopravvivenza di un cittadino in condizioni di indigenza. Il carattere paternalistico della misura è evidente.
Il povero, essendo incapace di gestire denaro, deve avere i beni necessari senza poter scegliere. Ciò ovviamente contribuisce a deresponsabilizzare ulteriormente il povero (cosiddetto non occupabile), spingendolo sulla strada dell’emarginazione sociale. Del resto, come molti casi hanno rivelato, il beneficiario preferisce il denaro, i beni acquistati con la carta spesso sono rivenduti a prezzo scontato al venditore che li rimette in vendita, alimentando così comportamenti opportunistici. Includendo alcuni beni ed escludendone altri, la carta altera inoltre il sistema a vantaggio di alcuni produttori.
Lo ammette espressamente anche lo stesso governo quando sottolinea che il sistema ha una seconda finalità che è quella di sostenere le filiere produttive italiane. Qui si rivela il vero carattere della politica adottata, che serve più a sostenere un settore in crisi, quello agro-industriale, che a predisporre strumenti adeguati per combattere la povertà. Un obiettivo che neppure l’altra misura, quella del reddito di cittadinanza, raggiungeva, perché anche in questo caso il provvedimento non è mai stato applicato integralmente, attuando l’importante componente della formazione, e si è tradotto in una mera misura assistenziale, che ha avuto un ruolo positivo solo nel periodo dello shock della pandemia, ovviamente non previsto dai promotori della politica.
Quel provvedimento, che certa propaganda considerò come un decreto comunista, fu varato dal governo di coalizione Lega-Movimento Cinque Stelle e doveva essere accoppiato alla flat tax (imposta a tasso uniforme), rivelando la sua natura politica. Infatti con la flat tax il sistema fiscale diventava tendenzialmente regressivo, apportando un beneficio alle fasce più elevate dei redditi e lasciando le briciole alle fasce marginali. Una tipica politica di destra neoliberista quindi. Alla base di questi provvedimenti c’è sempre una concezione della povertà come colpa irrimediabile imputabile alle incapacità dell’individuo, mentre economisti progressisti come Amartya Sen hanno definito lo stato di povertà in termini di scarsa dotazione di capitale umano non imputabile all’individuo. Il povero ha basso livello di istruzione e vive in contesti sociali degradati, se e non si arricchisce il suo capitale umano, l’individuo resterà sempre chiuso nel circolo vizioso della povertà, ed è assolutamente inutile fornirgli dei trasferimenti in beni o dotarlo di un reddito minimo, perché queste misure non servono a spezzare il circolo vizioso in cui è chiuso. Gli unici trasferimenti validi sono quelli che incrementano il capitale umano del soggetto in condizioni di povertà, ma nessun governo fino ad ora è stato in grado di predisporre strumenti adeguati, a cominciare dalla formazione scolastica, per rimuovere quegli ostacoli che impediscono agli individui di uscire dal loro stato di indigenza.