Per anni siamo stati abituati a identificare i pericoli per la democrazia nei “sistemi”. Che si chiamassero Gladio, P2 o Brigate Rosse, erano organizzazioni più o meno strutturate a essere ritenute potenzialmente fatali per la libertà, i diritti, l’equilibrio dei poteri. E l’inchiesta di Perugia, secondo la quale alcuni pezzi dello Stato avrebbero svolto attività di dossieraggio sui membri del governo Meloni, sembrava avvalorare questa tesi.
Stavolta, però, la vicenda del bancario pugliese che avrebbe spiato decine di politici accedendo abusivamente ai loro conti, dimostra il contrario. E cioè che una democrazia può essere messa in crisi anche dalla classica “scheggia impazzita”.
Intendiamoci: non si sa ancora se e per conto di chi il bancario infedele abbia agito. Ma se fosse confermata la tesi del “cane sciolto”, quindi di un soggetto non incardinato in un sistema di malaffare più ampio, la vicenda potrebbe essere paragonata al Sangiuliano-gate. Anche in quella circostanza, infatti, a mettere in imbarazzo Governo e ministro, fino a spingere quest’ultimo alle dimissioni, sono state le dichiarazioni di una perfetta sconosciuta.
Stesso discorso per il 24enne arrestato nei giorni scorsi per violato i sistemi informatici del Ministero della Giustizia e della Guardia di Finanza. Insomma, per valutare le conseguenze politiche del caso sollevato dal “Domani” è presto.
Ma una prima conclusione si può trarre: oggi i pericoli per le democrazie sono sempre più spesso legati all’azione dei singoli che, in quanto non incardinati in sistemi più ampi, sono più difficilmente individuabili e dunque più pericolosi. Una realtà con cui la politica dovrà imparare a fare i conti.