La presentazione del libro di Pasquale Tridico, organizzata presso il dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Bari nella giornata di ieri, ha offerto l’occasione per affrontare un tema di scottante quanto drammatica attualità, evocato nel titolo stesso del volume “Il lavoro di oggi la pensione di domani”, ovvero il rapporto tra lavoro e welfare. I rappresentanti istituzionali hanno posto l’accento sulle potenzialità ma anche i limiti dell’azione che gli enti territoriali.
Il rettore ha esordito richiamando l’attenzione dei presenti sulle profonde trasformazioni che il lavoro sta conoscendo nella nostra società, questione dirimente e presupposto imprescindibile dell’analisi su cui si è poi concentrato il dibattito dei relatori. Tutti si sono ritrovati a concordare sulla rilevanza del fenomeno, le cui caratteristiche ciascuno ha ricostruito dal punto di vista delle proprie competenze disciplinari, giuslavoriste nel caso del prof. Barbieri, economiche per il prof. Porcelli e la prof.ssa Cirillo e sociologiche quelle della prof.ssa Greco.
Il quadro che ne è emerso è ben noto e altrettanto inquietante, specie quando ci sono le analisi statistiche, tanto di fonte nazionale, quanto europee ed internazionali, a rappresentarlo in tutta la sua tragica evidenza.
La nostra Costituzione prevede, all’art. 35, che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Ebbene, il lavoro oggi è sempre più precario, quanto alle tipologie contrattuali utilizzate – a tempo determinato, part-time, intermittente – anche quando si tratti di lavoro autonomo, perché economicamente dipendente e spesso, in realtà, solo falsamente autonomo. Persino l’Unione Europea ne ha acquisito consapevolezza, rivisitando il proprio tradizionale approccio al diritto alla concorrenza e adottando linee guida intese a dirimere il (possibile) conflitto tra la normativa euro-unitaria in materia di antitrust e gli accordi collettivi dei lavoratori autonomi, almeno quelli individuali, altrimenti detti solo self-employed.
Ma la trasformazione del lavoro è incisa anche dal crescente fenomeno di coloro che pur lavorando si trovano di fatto in una condizione di povertà, i meglio noti working poors, poiché percepiscono retribuzioni ben lungi dall’essere proporzionate alla qualità e quantità del lavoro e sufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa per sé e la propria famiglia, come dispone l’art. 36 della nostra Carta costituzionale.
Se a questo si aggiunge il crescente calo demografico e l’impatto che hanno avuto la pandemia e la guerra in Ucraina sul sistema economico, si comprende bene come il modello tradizionale di welfare pubblico, che abbiamo ereditato dal secolo scorso, costruito a ridosso del modello produttivo fordista, rischi il collasso. Al riguardo non esiste, evidentemente, un’unica soluzione possibile, ma occorre investire su una sinergia di interventi, che sono stati evocati nel dibattito, dal salario minimo legale a strumenti di inclusione sociale quali il reddito minimo garantito; dal potenziamento del welfare aziendale alla previdenza complementare, dal superamento della prospettiva di workfare, che lega le tutele welfaristiche al lavoro alla valorizzazione della persona che lavora, riconoscendo tale statuto, come dottrina d’Oltralpe propone, anche a chi svolge lavoro di cura o comunque contribuisce al benessere collettivo e alla tenuta della coesione sociale.
Carla Spinelli è professoressa ordinaria di Diritto del lavoro presso l’Università di Bari
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