L’emigrazione è un tema delicato ed è affrontato spesso in modo emotivo, se non isterico, come nel caso della cosiddetta teoria della sostituzione etnica, secondo la quale una strategia complottista, sostenuta da una non meglio identificata élite, favorirebbe l’immigrazione illegale per sostituire nei paesi occidentali i bianchi con immigrati provenienti da altre aree del mondo.
La recente vittoria di Donald Trump è stata in gran parte motivata dalla paura di imminenti ondate migratorie che, se non fermate con muri e filo spinato, peggiorerebbero il tenore di vita della classe lavoratrice bianca, abbassando i salari. A questa ondata emotiva, sulla quale si è costruita la fortuna elettorale delle formazioni di destra e la sfortuna di quelle di sinistra, non fa eccezione l’Italia, dove il tema dell’emigrazione occupa saldamente la scena politica, divenendo un elemento permanente di propaganda.
Ma chi promette di fermare o controllare un fenomeno come l’emigrazione sarà sempre smentito dai fatti: nessun muro o filo spinato potrà mai fermare la disperazione di chi cerca migliori condizioni di vita. Il continente africano ha raggiunto 1,5 miliardi di abitanti ed entro la metà del secolo la popolazione crescerà di un altro miliardo. Nel 2050 ben un quarto della popolazione mondiale vivrà nel continente africano. Il reddito mediano europeo è oggi ben 13 volte più alto di quello africano, basta questo dato a spiegare l’unica vera motivazione dell’emigrazione.
Un milione di latinos preme ogni anno sulle frontiere degli Stati Uniti, spinti dalla enorme disuguaglianza che caratterizza la distribuzione del reddito nei loro paesi d’origine: secondo l’Onu, in America Latina il 10% della popolazione più ricca concentra nelle proprie mani il 37% del reddito, è la concentrazione di ricchezza più elevata di qualsiasi altra regione del pianeta. I flussi migratori sono sempre motivati da ragioni economiche. La stessa motivazione che spinse i nostri a cercare condizioni migliori di vita. Tra 1876 e 1976 ben 26 milioni di italiani lasciarono l’Italia per altri paesi europei (52%), per l’America del Nord (17%), per l’America Latina (27%) e per l’Australia (4%).
Due sono stati i grandi flussi migratori degli italiani: tra 1876 e 1914, la grande migrazione transoceanica, seguita dalle migrazioni fordiste degli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo, queste ultime dovute allo sviluppo dei grandi complessi industriali, soprattutto in Europa, e la necessità di ricorrere alla manodopera a bassa qualificazione. A questo tipo di migrazione appartiene anche l’esodo dalle campagne meridionali verso le città industriali del Nord che cambiò il volto demografico del paese. Da un decennio l’Italia vive una terza ondata migratoria, meno consistente ma non priva di effetti demografici come le precedenti. Tra il 2011 e il 2023, 550 mila giovani italiani tra 18 e i 34 anni sono emigrati all’estero. Tali flussi in uscita si sono manifestati in modo continuo e crescente dal 2008, passando dalle 7 mila a oltre 65 mila unità nel 2020.
L’accelerazione dei flussi in uscita ha riguardato tutte le aree del Paese, soprattutto le regioni centro-settentrionali che hanno perso oltre 413 mila unità rispetto alle 188 mila del Mezzogiorno. Gli under 40 dal 2002 al 2024 sono diminuiti di 2,1 milioni (-12,4%) nel Centro-Nord, e di 3,1 milioni nel Mezzogiorno (-28%). Il dato è ancora più negativo perché si tratta di giovani con elevata istruzione e qualificazione: una perdita netta di capitale umano che impoverirà nel lungo termine il nostro paese. Si stima che il capitale umano perso negli ultimi dieci anni, sia di 134 miliardi di euro (dati Cnel), cifra destinata ad aumentare. La struttura produttiva italiana, polverizzata in piccole e medie imprese, per lo più scarsamente innovative, non è in grado di offrire condizioni economiche adeguate a chi ha investito per lungo tempo nella sua formazione. Inoltre un consistente divario regionale di cronica persistenza, che non è presente in nessun Paese sviluppato, alimenta ulteriormente questa nuova terza ondata migratoria. Il problema più grave in tema di emigrazione non è la presunta imminente invasione africana, ma l’impoverimento continuo della nostra dotazione di capitale umano. Questo dovrebbe essere la nostra principale preoccupazione.