Era un po’ di tempo che, almeno in Puglia, non si manifestava lo spettro del voto di scambio. I mesi di “tregua”, per la verità, sono stati pochi. Prima che dalle carte di un’inchiesta sui furti d’auto spuntasse il caso di Brindisi, dove in occasione delle comunali del 2023 le preferenze sarebbero state acquistate al prezzo di 30 euro l’una da non meglio precisati committenti e a favore di non meglio precisati beneficiari, erano state almeno tre le inchieste della magistratura su presunte compravendite di voti: quella sulle comunali a Bari e Valenzano del 2019, quella sulle comunali a Grumo Appula nel 2020 e a Triggiano nel 2021, senza dimenticare le ultime regionali.
In tutto quattro inchieste, alle quali si somma la condanna per corruzione elettorale per un candidato al primo Municipio di Bari sempre in occasione della tornata del 2019. Eventuali responsabilità saranno accertate dalla magistratura. Ma il fenomeno esiste ed è una conseguenza della polverizzazione dei partiti.
Durante la Prima Repubblica, i partiti contribuivano alla regolarità del voto. Con la loro solida struttura, le organizzazioni politiche preparavano gli scrutatori, istruivano i rappresentanti, organizzavano la macchina della propaganda. E perseguivano obiettivi collettivi, che riguardavano le sorti di un’intera comunità, con la conseguenza che le candidature erano severamente controllate e, in ogni caso, rappresentavano il frutto di tensione ideale e passione civile.
Gli anni successivi hanno visto il tramonto delle ideologie e dei partiti, fino alla loro definitiva polverizzazione, con tutta una serie di conseguenze nefaste sul dibattito pubblico e sulla vita politica. La fine delle nomenclature, spesso governate da rigide regole, ha fatto sì che su militanti e sostenitori non vi fosse più alcuna forma di controllo. E così si è diffusa la militanza pagata, quella che all’occorrenza non disdegna il ricorso alla compravendita di voti anche per poche decine di euro. Venute meno le ideologie, le candidature sono diventate spesso e volentieri lo strumento per ottenere un “posto al sole” e non per contribuire a cambiare i destini delle collettività. E a questo declino ha contribuito fortemente anche l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e la poco chiara disciplina del finanziamento privato, con l’ulteriore conseguenza che la politica è diventata appannaggio di chi ha i soldi o di chi i soldi vuole farli proprio attraverso la politica. Insomma, con la fine dei partiti e delle ideologie la cosa pubblica si è trasformata sempre più spesso nella “preda” di spregiudicati avventurieri.
Quale sarebbe, dunque, l’antidoto al voto di scambio? Semplice: il ritorno della buona politica, con tutti i suoi vecchi sistemi di selezione meritocratica e di controllo dei militanti. Ancor di più, però, dovrebbe tornare la buona amministrazione, quella capace di incidere positivamente sulla vita delle comunità: in altre parole, una classe dirigente che riesca a ottenere consensi non attraverso il voto di scambio, ma in virtù di risultati concreti.